‘Il dottor Stranamore’ e ‘Il grande dittatore’: la satira del potere

“Quando iniziai a lavorare alla sceneggiatura avevo tutta l’intenzione di fare un trattamento serio del problema di una incidentale guerra atomica. Mentre cercavo di immaginare il modo in cui le cose sarebbero avvenute nella realtà, continuavano a venirmi in mente delle idee che scartavo perché ridicole. Ripetevo a me stesso: «Non posso farlo. La gente riderà».
Ma dopo circa un mese iniziai a rendermi conto che le cose che stavo eliminando erano quelle più veritiere.
[ …] Così cominciai a pensare che mi stavo accostando al problema nel modo sbagliato: l’unico modo per raccontare la storia era una commedia nera o, meglio ancora, una commedia da incubo, dove le cose delle quali si ride di più sono proprio gli atteggiamenti paradossali che rendono possibile una guerra nucleare”.
(Stanley Kubrick in John Gelmis, The Film Director as Superstar, Doubleday, New York 1970)

La scelta della commedia nera, della satira per denunciare la follia del potere ricorre nel cinema di Kubrick. Già con Orizzonti di Gloria (Path of Glory, 1957) aveva denunciato con sarcasmo l’ipocrisia e il cinismo del potere e il comportamento tribale degli uomini. L’assalto disperato e inutile scatenato da un generale ambizioso e irresponsabile contro un imbattibile postazione tedesca si risolve in un orrendo massacro.
Nel Dottor Stranamore la follia del comandante Ripper è la causa scatenante dell’attacco nucleare. Ripper, al pari del Generale Mireau in Orizzonti di Gloria,  è il personaggio tipicamente kubrickiano che dispone le proprie pedine di gioco, mette in atto una strategia calcolata nei dettagli che tuttavia alla fine provoca la sua stessa distruzione e, nel suo caso, la distruzione di tutto ciò che ha intorno.
Il riferimento al capolavoro di Charlie Chaplin Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940) è evidente, non solo nella denuncia di uomini folli in preda a paranoie ma anche nell’utilizzo della figura del doppio che in Kubrick diventa persino trino (Peter Sellers). Del resto Kubrick non ha mai nascosto le proprie fonti d’ispirazione ed è da Chaplin che prende il senso della comicità.

Ad accomunare i due film, due pietre miliari della storia del cinema, sono state poi anche le simili vicissitudini produttive. L’uno, Il grande dittatore, aveva lo scopo di mettere in ridicolo il personaggio politico che in quegli stessi anni stava destando terrore in tutto il mondo; l’altro faceva della satira su quella che era, in quel momento storico, la più grande paura degli americani e non solo. Non c’è da stupirsi se la produzione in entrambi i casi fu variamente ostacolata.
Racconta Chaplin:
“Mentre ero a metà del Dittatore cominciai a ricevere allarmanti comunicazioni da parte della United Artists. L’ufficio Hays li aveva avvertiti che stavo per cacciarmi nei guai. Anche quelli della sede inglese erano molto preoccupati all’idea di un film anti-hitleriano e dubitavano che lo si potesse proiettare in Gran Bretagna. Ma io ero deciso a tirare avanti, perché Hitler doveva essere messo alla berlina. Se avessi conosciuto gli orrori dei campi di concentramento tedeschi non avrei potuto fare Il Dittatore; non avrei certo potuto prendermi gioco della follia omicida dei nazisti. Ma ero ben deciso a mettere in ridicolo le loro mistiche scemenze sulla purezza del sangue e della razza”.

La notizia delle intenzioni satiriche di Kubrick raggiunse rapidamente il governo degli Stati Uniti, che espresse la propria preoccupazione alla Columbia. Southern era solo in ufficio il giorno che ricevette la telefonata di Mo Rothman, il produttore esecutivo designato dalla Columbia al controllo della produzione. “Dica solo a Stanley” informò Southern “che New York non vede assolutamente niente di buffo nella fine del mondo, per quanto ne sappiamo” (John Baxter, Stanley Kubrick. La biografia, Lindau 2006) .

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