Yilmaz Güney, speranza disperata

Programma e note a cura di Ahmet Gürata

 

“La speranza era durata troppo,
cominciava a diventare disperazione”
Nikos Kazantzakis, L’ultima tentazione di Cristo

Nonostante i dodici anni trascorsi dietro le sbarre, i due di servizio militare e i tre d’esilio, Yılmaz Güney (1937-1984) ebbe una carriera prolifica seppur breve. Romanziere e figura leggendaria dell’attivismo politico turco, partecipò a 111 film come attore, regista, sceneggiatore e produttore.
Da ragazzo portava i rulli di pellicola nei cinema di Adana, la sua città natale. L’amore per i film lo condusse infine a Istanbul, dove lavorò come comparsa. Il suo primo ruolo da protagonista in Alageyik (Il daino, 1959) di Atıf Yılmaz gli valse l’elogio della critica, ma la sua ascesa verso la celebrità fu interrotta dal primo di una serie di guai giudiziari. Tra il 1961 e il 1963 scontò una pena carceraria per un racconto scritto quando era studente. Tuttavia la grande svolta giunse nel 1965, quando fu protagonista di ventuno dei duecentoquindici film girati quell’anno. Sovvertendo l’immagine dominante del divo avvenente, fu soprannominato “il re brutto”. In quei film popolari, il personaggio da duro di Güney era spesso costretto dalle circostanze sociali alla violenza e perdeva la sua battaglia contro un mondo ingiusto. Nel 1966 fu interprete e collaborò alla sceneggiatura di Hudutların Kanunu (La legge del confine) di Lütfi Akad. Un anno dopo diresse il suo primo film, Seyyit Han (La sposa della terra, 1967). Nel frattempo, con l’aiuto di un ghostwriter, scriveva le sue sceneggiature. Per il suo forte realismo e la trama anticonvenzionale, Umut (Speranza, 1970) fu un punto di svolta sia per Güney, sia per il cinema turco. Tra il 1971 e il 1974, malgrado altri due anni trascorsi in prigione, Güney riuscì a dirigere molti film di successo come Ağit (Elegia, 1971) e Arkadaş (L’amico, 1974). Nel 1974 fu nuovamente arrestato, con l’accusa di aver ucciso un giudice. Per i sette anni successivi scrisse sceneggiature e supervisionò le riprese dal carcere. Sürü (Il gregge, 1978) e Düşman (Il nemico, 1979), entrambi diretti da Zeki Ökten, gli valsero il riconoscimento a livello internazionale. Evaso dal carcere nel 1981 e rifugiatosi all’estero, Güney riuscì finalmente a montare il suo capolavoro, Yol (co-diretto con Şerif Gören, 1981), e nel 1982 vinse la Palma d’Oro ex aequo con Costa-Gavras. In Francia completò il suo ultimo film, Duvar (La rivolta, 1983), poco prima di morire per un tumore allo stomaco.
Sfidando le convenzioni del cinema popolare, Güney descrive i meccanismi oppressivi di una società fondata sulle tradizioni e il senso dell’onore. Inoltre, le sue origini curde e la sua adesione al movimento di sinistra turco aggiungono una dimensione politica ai suoi film. Sottoposti alla doppia costrizione della morale e della povertà, i suoi antieroi spesso si aggrappano a speranze ingannevoli prima di scivolare lentamente nella disperazione. È una chiamata all’azione collettiva più che alla lotta del singolo contro una soverchiante ingiustizia: un messaggio quanto mai attuale in un’epoca precaria come la nostra.

Ahmet Gürata