Robert Mitchum, un attore con due volti

Programma e note a cura di Bernard Eisenschitz e Philippe Garnier

 

“No, non scrivo più.
Scrivo a voce adesso, e mento su me stesso
Robert Mitchum intervistato dalla televisione francese nei primi anni Settanta

La lunga e portentosa carriera di Robert Mitchum si divide in tre periodi: il Mitchum dalle guance scavate di The Story of G.I. Joe (1945), compreso ciò che lo precede (gli Hopalong Cassidy, girati in fretta e a basso costo) e ciò che lo segue di poco (quando l’attore era la gallina dalle uova d’oro della RKO, equivalente maschile dell’amica di lunga data Jane Russell). Con caratteristiche fisiche apparentemente dissonanti – naso lungo, occhi da faina, vitino da vespa su un corpo da colosso – niente, in Mitchum, coincide con i canoni della bellezza classica rispettati dagli attori suoi contemporanei. Poi diventa incredibilmente bello (più o meno all’epoca di River of No Return, 1954), una combinazione imbattibile di virilità e nonchalance. È un periodo che durerà a lungo, finché (diciamo poco dopo The Yakuza, 1974) non comincerà a indossare, in privato, occhiali atroci, e, sullo schermo, i suoi tratti si squaglieranno sempre di più, come la cera di una candela.
Noi abbiamo privilegiato il periodo centrale, e i due aspetti del suo personaggio. Lo ricordiamo soprattutto nella modalità ‘Baby, I don’t care’, elegantemente imbronciato in Out of the Past o avventuriero malandrino e magnificamente distaccato in His Kind of Woman e Bandido!, ma lo amiamo ancor più nei ruoli vulnerabili: la sua aria stralunata all’inizio di Blood on the Moon ma soprattutto il protagonista lacerato del meraviglioso The Wonderful Country di Robert Parrish dove lo vediamo umiliato prima dal suo cavallo (che gli cade addosso spezzandogli una gamba), poi da un capitano dei Texas Rangers (Albert Dekker, che lo supera di una spanna), e infine dal padrone messicano Pedro Almendáriz, al quale si riduce a chiedere la paga arretrata con il sombrero in mano.
È stato detto che ci sono i film in cui Mitchum ha creduto molto (magari per pentirsi, poi, di averli fatti) e gli altri. Tra i primi, The Friends of Eddie Coyle e The Yakuza. Di questi due decenni ricordiamo naturalmente la declinazione barocca di The Night of the Hunter, ma anche il patriarca fumatore di pipa di Home from the Hill, che costituisce una delle grandi curiosità della sua filmografia: il ruolo di un padre super-macho in un melodramma isterico e folle sulla crisi del patriarcato e della virilità. Soggetto, quello del rapporto problematico tra padre e figlio, molto caro a Minnelli. Ed è pur vero che un film di Minnelli sulla virilità non poteva che essere shakespeariano e superare i canoni del melodramma.

 Philippe Garnier e Bernard Eisenschitz

 

Foto: Robert Mitchum

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