Tehran Noir: i thriller di Samuel Khachikian

Programma a cura di Ehsan Khoshbakht e Behdad Amini
in collaborazione con National Film Archive of Iran
Note di Ehsan Khoshbakht

 

Figura solitaria, esule nel suo stesso paese, Samuel Khachikian seppe infondere forma e stile in un cinema nazionale informe. A mani vuote e privo di finanziamenti adeguati, impedì a quel cinema di scomparire nelle sabbie mobili in balia di cineasti indolenti.
Il nome di Khachikian è sinonimo di horror e suspense, e i suoi film esemplificano alla perfezione le glorie e le delusioni del cinema di genere iraniano. Alcuni videro nel regista il salvatore del cinema nazionale, altri considerarono la sua opera una semplice derivazione di film occidentali. Quel che è certo è che Khachikian fu imitato da molti registi minori. La rassegna si incentra sui film considerati dal cineasta stesso e dai suoi estimatori il punto più alto della sua produzione, le opere cruciali di colui che per primo in Iran riuscì a ottenere che il suo nome precedesse il titolo del film.
Nato nel 1923 a Tabriz da genitori armeni, Khachikian si avvicina sin da piccolo alla letteratura e al teatro. Quando il tumultuoso clima politico di Tabriz costringe la famiglia a trasferirsi a Teheran, per il giovane Samuel si aprono nuove opportunità. L’influente produttore cinematografico di origini armene Sanasar Khachaturian gli chiede di dirigere Bazgasht (1953).
Alla fine degli anni Cinquanta Khachikian ha ormai messo a punto un linguaggio personale: l’uso inventivo del suono, la fotografia dai toni scuri e poco contrastati, il montaggio rapido e gli insoliti angoli di ripresa si prestano alla raffigurazione di un mondo dominato dal crimine e dal peccato. A detta del regista, le storie si ispirano a vicende del genocidio armeno narrategli dal padre. 
Khachikian adattò il cinema di genere rendendolo attraente agli occhi di un paese a maggioranza musulmana. Ma l’avvento alla fine degli anni Sessanta dei registi modernisti e di un cinema commerciale maggiormente improntato al sesso e alla violenza segnarono rapidamente il tramonto di Khachikian, che per sua stessa ammissione da quel momento in poi girò film solo per dimostrare di esistere ancora. Dopo la rivoluzione la sua posizione non migliorò: la visione occidentalizzata dell’Iran che informava i suoi film e lo star system sul quale si fondavano erano ora fortemente avversati. Khachikian fu gradualmente messo da parte e gli fu proibito di lavorare. Quando infine poté tornare a girare, il suo mondo era troppo estraneo alla Repubblica islamica per suscitare altro che imbarazzo.
A sessant’anni di distanza, Khachikian resta uno dei registi del cinema iraniano più importanti, grazie alla padronanza nell’uso degli elementi spazio-temporali, alla sapiente valorizzazione degli attori e al ruolo fondamentale che svolse introducendo il concetto stesso di regia nel cinema nazionale. Se si considera inoltre che da membro di una minoranza seppe cambiare il corso di una cinematografia nazionale diventando il regista della maggioranza – compito svolto con gusto e fantasia –, Khachikian merita di occupare una posizione di spicco anche nella storia del cinema mondiale.

Ehsan Khoshbakht

 

Foto: Samuel Khachikian 

 

Intervista a Eshan Khoshbakht curatore della rassegna