I cinefili preferiscono Howard Hawks

“… Hawks si concentra innanzitutto sull’odore e sul sapore della realtà, dandole una grandezza e una nobiltà insolite e invero a lungo celate; egli dà una coscienza classica alla sensibilità moderna”. (Jacques Rivette) 

Dopo Sternberg, Capra e Ford, ecco Howard Hawks. Una pars pro toto anziché la retrospettiva integrale di una lunga carriera che ovviamente non possiamo ospitare. Un primo piano essenziale, dinamicamente pregnante: tutti i muti e gli intensi esordi sonori. È da lì che solitamente partono gli studi sul cinema di Hawks. È evidente che i suoi muti sono molto meno conosciuti di quelli dei suoi grandi colleghi appena menzionati. L’unica eccezione è forse A Girl in Every Port, il film che insieme ai due di Pabst rivelò Louise Brooks come il “volto del secolo” e che fu vissuto come un’esperienza scintillante dagli spettatori parigini del 1928 e dal pubblico della retrospettiva che si svolse nel 1962 a New York e che promosse una nuova consapevole visione del regista come “colui che ha letteralmente inventato il cinema americano” (John Carpenter). 

Non che fosse passato inosservato, anche se il suo nome era meno celebre dei suoi film, molti dei quali furono tra i più popolari della sua epoca. Manny Farber (1957) considerò Hawks una figura chiave perché “mostra il massimo di velocità, di vita e sguardo interiore con il minimo di inciampi”. Per Rivette (1953), Hawks “incarna le qualità più alte del cinema americano, è il solo regista americano che sa trarre una morale”. (Giudizio al quale si affiancò quello di Henri Langlois, il quale osservò che la creazione di Hawks derivava essenzialmente “da un assemblaggio di fatti, parole, rumori, movimenti, situazioni, simile all’assemblaggio di un motore”.) Eppure, nonostante i molti testi brillanti (di Bogdanovich, Wollen, Douchet, Wood, Sarris, Haskell) scritti quando Hawks era diventato un nome mitico, dei suoi film muti non si è quasi parlato. Prendiamola come una splendida sfida, dato che oggi sappiamo che non c’è alcuna ragione di minimizzare quella parte dell’opera di Hawks. I suoi grandi film sonori derivano organicamente dai muti. 

Non è la prima volta che le intuizioni più rare e seducenti vengono da Henri Langlois: “Curiosamente, A Girl in Every Port, così insolito per gli spettatori dell’epoca, oggi lo sembra meno di Fig Leaves, in cui l’arte di Hawks agisce in totale libertà”. Buona intuizione, visto che il film è stato recentemente discusso a proposito di “rappresentazione femminile e cultura consumistica”… Nei suoi muti Hawks esplorò a volte direzioni sorprendenti (si veda Fazil, celebre per i baci spinti) ma era già chiaramente orientato verso quella che sarebbe diventata l’essenza del suo cinema. I primi sonori non sono solo il leggendario Scarface: “Da The Dawn Patrol a Ceiling Zero, Hawks si preoccupa esclusivamente della costruzione e dunque dei volumi e delle linee, è il Le Corbusier del sonoro” (Langlois). Secondo Jacques Rivette, Hawks eccelse in tutti i generi a cui si accostò: era solo una lieve esagerazione, ma si applica alla lettera a Only Angels Have Wings, all’incredibile esperienza a colori di Gentlemen Prefer Blondes e, perché no, a Land of the Pharaohs, perla della nostra sezione dedicata al CinemaScope, che Langlois definì “il solo film epico che abbia stile, rigore e bellezza plastica, qualità di cui avevamo da troppo tempo dimenticato il significato”.

(Peter von Bagh)

Sezione a cura di Peter von Bagh