Golestan Film Studio, tra poesia e politica

È tempo di celebrare la prima casa di produzione indipendente iraniana, che nei suoi dieci anni di attività produsse alcuni dei titoli più interessanti della storia del cinema nazionale, tra documentari e film di finzione. Il merito fu di una figura di importanza cruciale nel panorama culturale iraniano: il regista, produttore, scrittore e traduttore Ebrahim Golestan, senza il quale una cinematografia d’autore sarebbe stata sostanzialmente impensabile.
Se della produzione letteraria di Golestan si è ampiamente dibattuto, il suo contributo al cinema è ancora sottovalutato e i suoi film restano in gran parte inaccessibili. Anche se Khesht o Ayeneh [Mattone e specchio], opera pionieristica della nouvelle vague iraniana, è giunto ad essere considerato un capolavoro incompreso, i documentari sono rimasti in gran parte sconosciuti.
Nato nel 1922 a Shiraz, Golestan iniziò ad appassionarsi al cinema in tenera età, quando veniva accompagnato alle proiezioni dal padre, proprietario di un quotidiano locale. Inizialmente divenne giornalista e si iscrisse al Partito comunista iraniano, ma poi deluso si rifugiò nella letteratura: autore di romanzi, fu anche traduttore di Ernest Hemingway e Mark Twain.
Golestan, che da ragazzo possedeva una Bolex 8mm, passò presto alla 16mm e fece esperienza girando servizi giornalistici spesso commissionati da reti americane. Nel 1958, con il finanziamento di compagnie petrolifere occidentali, Golestan fondò uno studio cinematografico. Anziché assumere professionisti, andò alla ricerca di giovani talenti ai quale insegnare i vari mestieri del cinema. Il piccolo gruppo di appassionati comprendeva l’operatore Soleiman Minassian, l’attore/aiuto regista Zackaria Hashemi e il fonico Mahmood Hangval. La collaboratrice più famosa fu probabilmente Forough Farrokhzad, montatrice e occasionalmente attrice nonché regista dell’intenso cortometraggio documentario Khaneh siah ast [La casa è nera].
Poi, nel 1967, la tragedia: Farrokhzad, alla quale il regista era unito da un legame non solo professionale, morì in un incidente stradale e di lì a poco Golestan abbandonò lo studio cinematografico e si stabilì nel Regno Unito. Solo nel 1971, in occasione di un breve ritorno in Iran, realizzò quello che si sarebbe rivelato il suo ultimo film.
Con il senno di poi, i film di Golestan appaiono quanto mai incisivi e originali, spaziando liberamente tra prosa, poesia e antropologia, tra metafora politica e allegoria filosofica. Nel loro universo ricco e variopinto, il passato e il presente vivono l’uno accanto all’altro, spesso ignorandosi a vicenda finché lo sguardo attento della macchina da presa non li riconcilia attraverso l’ispirazione poetica. Il cinema di Golestan, nel quale è spesso raffigurato l’atto dello scavare (per estrarre il petrolio, per riportare alla luce oggetti e passato storico), è a sua volta una ricerca delle radici di un albero antico chiamato Iran.

Ehsan Khoshbakht