Cinemalibero

Programma a cura di Cecilia Cenciarelli
Note di Vincent Adatte, Safi Faye, Andrés Levinson

 

Il Cinema Ritrovato nasce da un innesto felice, quello tra la Cineteca e la Mostra Internazionale del Cinema Libero, un festival creato nel 1960 da Bruno Grieco, Giampaolo Testa, Leonida Repaci e Cesare Zavattini con l’intento dichiarato di presentare film al di fuori dai circuiti tradizionali dell’industria cinematografica e culturale. Un’esperienza che si è iscritta nel nostro dna, e che negli ultimi undici anni ha trovato una naturale estensione nel World Cinema Project. Per ricordarla abbiamo deciso di ribattezzare questa sezione Cinemalibero: un’unica parola che racchiude in sé tutto il potenziale del cinema di percorrere liberamente sentieri inediti e ricchi di scoperte.
Le opere presentate quest’anno guardano ai continenti latinoamericano e africano lungo un arco temporale di sessant’anni, a partire da Prisioneros de la tierra (1939), il cui restauro è stato finalmente reso possibile grazie al ritrovamento di due elementi a Parigi e Praga. Denunciando per la prima volta le misere condizioni dei braccianti nelle piantagioni, il film di Mario Soffici (ammirato da Borges), indicò al cinema nazionale argentino una nuova direzione possibile. Ma è alla fine degli anni Sessanta che il cinema di questi due continenti si incontrò su un terreno comune, quello della protesta contro capitalismo e colonialismo, nell’urgenza di esprimere con forza la propria identità culturale.
Dopo mezzo secolo La hora de los hornos, opera-faro del terzo cinema, appare un testamento miracoloso, tanto ancorato all’epoca che l’ha prodotto quanto sorprendentemente moderno per la sua forza visiva e il suo racconto del Sud del mondo. È un Sud doloroso quello di Pixote, da cui si leva il grido dei dannati della terra. Babenco ci consegna il ritratto feroce di un regime politico conservatore intento solo a salvaguardare se stesso. Non c’è via di scampo negli occhi e negli interrogativi muti del protagonista bambino. La risposta sembra arrivare, quasi vent’anni dopo, in Central do Brasil. Attraverso un viaggio alla ricerca di un altro Brasile e di una dimensione più umana, Walter Salles concede a Josué la possibilità di riconciliarsi con la sua infanzia, ciò che a Pixote era stato negato. Nel primo film realizzato da un regista africano in Brasile, A deusa negra, il pioniere del cinema nigeriano Ola Balogun racconta un viaggio della memoria della schiavitù.
Ancora sul volto di un bambino si chiude Chronique des années de braise, affresco epico sulla rivoluzione algerina che dopo la Palma d’oro a Cannes infiammò la polemica attorno al cinema militante ad alto budget. Prima regista donna dell’Africa subsaariana, nel suo Fad’jal Safi Faye ci cala nel cuore del suo villaggio natio invitandoci ad ascoltare il fluire della vita dal racconto dei vecchi. E infine il genio di Mambety in cui riecheggia il Pasolini di Medea: Hyènes è un’implacabile parabola dell’avidità umana declinata all’interno della società africana che ha barattato gli ideali dell’indipendenza con le promesse del materialismo occidentale.

Cecilia Cenciarelli

 

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