Wild Boys Of The Road
Sog.: Daniel Ahearn. Scen.: Earl Baldwin. F.: Arthur L. Todd. M.: Thomas Pratt. Scgf.: Esdras Hartley. Int.: Frankie Darro (Eddie), Edwin Phillips (Tommy), Dorothy Coonan (Sally), Grant Mitchell (Mr. Smith), Rochelle Hudson (Grace), Sterling Holloway (Ollie), Ward Bond (Red), Minna Gombell (zia Carrie), Claire McDowell (Mrs. Smith), Ann Hovey (Lola), Charles Grapewin (Mr. Cadmust), Robert Barrat (giudice White). Prod.: First National Pictures
35mm.
Scheda Film
Nel novembre del 2011, quando la polizia di New York ha sgomberato con la forza Zuccotti Park, simbolo delle proteste di Occupy Wall Street, mi sono tornate in mente le immagini di questo film del 1933 in cui i giovani disoccupati vengono ripetutamente e violentemente cacciati dai vagoni merci e dalle baracche in cui hanno trovato riparo. Ma anziché opporsi al capitalismo e lottare per i diritti del ’99 per cento’, i ragazzi e la ragazza selvaggi di Wellman (lei è la sua futura moglie, Dorothy Coonan) si accontentano di sopravvivere, di trovare un lavoro e di aiutare le famiglie in difficoltà che si sono lasciati alle spalle. Sono intrappolati nel mondo fin troppo reale della Grande Depressione, mondo che Wellman si impegna a descrivere nel modo più accurato possibile. Come commenterà Bertrand Tavernier, “I film sociali di Wellman sono tra i più radicali e violenti del genere. Hal Wallis fece tagliare molte scene di Wild Boys of the Road che giudicava insopportabili per il pubblico e che per Wellman esprimevano la realtà della Depressione”. Al film fu anche affibbiato un inevitabile e artificioso lieto fine. Nonostante le imposizioni, Wild Boys of the Road spicca tra i film dell’epoca per la felice contrapposizione tra la dura realtà del tempo e la gioiosa innocenza della giovinezza. Eddie, Tommy e Sally illuminano uno schermo costantemente minacciato dall’oscurità. Ne è un perfetto esempio la scena in cui Eddie vende la sua amatissima auto per aiutare il padre disoccupato. Dopo aver consegnato al padre i ventidue dollari frutto di disperate contrattazioni, il ragazzo esce di casa e vede il garage vuoto e abbandonato. Dopo una breve pausa si allontana fischiettando le note di We’re in the Money, la canzone resa famosa da La danza delle luci (in cui Wellman, tra l’altro, vide per la prima volta Dorothy Coonan). Il motivetto sfuma, la realtà riprende il sopravvento e il ragazzo torna rabbiosamente sui suoi passi e chiude la porta delgarage. È una scena malinconica, malgrado l’intervallo sognante alla Busby Berkeley, e riporta alla mente una delle tante osservazioni di Manny Farber sul regista: “Wellman è il più interessante di tutti questi poeti degli spazi, soprattutto per gli scenari alla Hopper. Sa dipingere con lievi e furiosi colpi di pennello facciate di negozi, tetre camere da letto, la rapina in un distributore di benzina isolato. E mescolare i soprassalti di volgarità […] con una danza della composizione spaziale in cui la scena sembra costruirsi davanti agli occhi dello spettatore”.
Gina Telaroli