WAS SOLL’N WIR DENN MACHEN OHNE DEN TOD?
Scen., F.: Elfi Mikesch. M.: Elfi Mikesch, Renate Merck, Anke-Rixa Hansen. Mus.: Traute Hagelstein, Gysel. Int.: signora Käthe, signora Traute, Edith London, Barbara Gold, Steven Adamczewski. Prod.: Elfi Mikesch per Oh Muvie Film, ZDF • DCP. D.: 108’. Col. e Bn.
Scheda Film
Il film si apre con un’immagine di ammaliante bellezza. La macchina da presa s’insinua in una stanza inondata di luce. Le finestre sono aperte, un vento estivo agita le tende. I colori sono in qualche modo distorti dall’incidenza della luce sulla pellicola, come spesso accade nei film sperimentali ossessionati dal materiale filmico, e udiamo una musica seducente. Una voce ci lascia assistere agli ultimi istanti di una persona morente. Invece di essere spaventati, ci arrendiamo alla scena e pensiamo: “È così che si vorrebbe morire”. Mi colpisce l’ironia crossmediale dei nostri tempi: digitando il titolo del film su Google, tra i primi cinque risultati della ricerca appaiono video di YouTube sull’eutanasia.
Tra i film di Elfi Mikesch, questo è forse quello che si spinge più in là nella giocosa trasformazione di un documentario in un’interazione completamente libera con la realtà, catturata dalla macchina da presa a favore di una narrazione che si snoda non tanto sullo schermo quanto nell’interiorità dello spettatore. Lo capiscono tutti: non si tratta di qualcosa di esterno a noi, a essere raggiunta è la nostra essenza più intima.
Durante i 108 minuti di sorprese che il film ci riserva, i termini “demenza” e “Alzheimer” non vengono mai pronunciati. Diversamente da oggi, nel 1980 non facevano parte del linguaggio comune. Ciò nonostante, dopo averlo visto capiamo come vengono percepite dall’interno queste condizioni mentali.
In un dibattito sul film Mikesch ha affermato che non è pensato per gli spettatori più anziani bensì per i più giovani, che possono così familiarizzare con le esperienze che li attendono.
Così si legge nell’opuscolo di presentazione del film alla prima al Festival di Berlino (sezione Forum): “Quando vediamo l’immagine che i vecchi ci mostrano del nostro futuro rimaniamo increduli; una voce dentro di noi sussurra assurdamente che a noi non accadrà: non saremo più noi, quando accadrà. Finché non si abbatte su di noi, la vecchiaia è qualcosa che riguarda solo gli altri. È quindi comprensibile che la società riesca a distoglierci dal considerare i vecchi come nostri simili… Nell’avvenire che ci aspetta è in gioco il senso della nostra vita; non sappiamo chi siamo se non sappiamo chi saremo: riconosciamoci in questo vecchio, in questa vecchia. È necessario se vogliamo accettare la nostra condizione umana nella sua totalità” (Simone de Beauvoir, La terza età).
Martin Koerber