USKI ROTI

Mani Kaul

Sog.: dal racconto omonimo di Mohan Rakesh. Scen.: Mani Kaul. F.: K.K. Mahajan. Mus.: Ratan Lal. Int.: Gurdeep Singh (Sucha Singh), Garima (Balo), Richa Vyas (la sorella di Balo), Savita Bajaj (la padrona di Sucha Singh). Prod.: Rochak Pandit. DCP. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Il film d’esordio di Kaul è l’adattamento di un racconto del noto autore hindi Mohan Rakesh ed è uno dei primi film nella storia del cinema indiano a esprimersi attraverso una coerente sperimentazione formale. Il corpulento conducente d’autobus Sucha Singh (Gurdeep Singh) viaggia attraverso le polverose pianure rurali del Punjab. Sua moglie Balo (Garima) lo aspetta alla fermata dell’autobus per dargli il pranzo. Un giorno Balo arriva in ritardo perché la sorella minore è stata molestata. Sucha, contrariato, rifiuta il cibo e se ne va. Lei rimane sul ciglio della strada fino a sera. A differenza del racconto, in cui personaggi e situazioni vengono trattati in maniera molto stereotipata, il film integra i suoi protagonisti nel paesaggio esprimendo un realismo interiore e un distacco che ricordano il cinema di Bresson – come nelle riprese dall’interno dell’autobus che mostrano lo scorrere della strada e della campagna mentre un piccolo adesivo sul parabrezza fa irruzione in un angolo dell’inquadratura.

Kaul voleva scoprire “l’aspetto propriamente cinematografico di un adattamento” e i suoi attori tradussero una sceneggiatura rigorosamente annotata con una gestualità ridotta al minimo. I due registri dello spazio fisico e mentale di Balo sono ripresi attraverso due diverse lenti: un grandangolare 28mm con un’elevata profondità di campo e un teleobiettivo 135mm che mantiene a fuoco solo una minima parte dell’inquadratura.

Nel film questo schema viene gradualmente invertito, e il risultato è uno degli esempi di massimo controllo dell’immagine visti nel cinema indiano. L’uso dei volumi e degli spazi si ispira alle grandi tele della pittrice modernista Amrita Sher-Gil, mentre la colonna sonora ricalca la frammentarietà visiva isolando singoli suoni. Il film, realizzato con il sostegno della Film Finance Corporation, fu ferocemente attaccato dalla stampa popolare per essersi sbarazzato delle norme cinematografiche correnti e difeso con altrettanta veemenza dall’intellighenzia indiana più sensibile alle questioni estetiche.

Ashish Rajadhyaksha

 

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Copia proveniente da

University of California, Berkeley Art Museum and Pacific Film Archive