THE TORRENT

Monta Bell

R.: Monta Bell. S.: dal romanzo Entre naranjos di Vicente Blasco Ibàñez. Sc.: Dorothy Farnum. F.: William Daniels. M.: Frank Sullivan. In.: Ricardo Cortez (Don Rafael Brull), Greta Garbo (Leonora Moreno), Martha Mattox (Doña Bernarda Brull), Gertrude Olmstead (Remedios), Edward Connelly (Pedro Moreno), Lucien Littlefield (“Cupido”, il barbiere), Lucy Beaumont (Doña Pepa), Tully Marshall (Don Andreas), Arthur Edmund Carew (tenente Salvatti), Mack Swain (Don Matìas), Lillia Leighton (Isabel). P.: Metro-Goldwyn-Mayer. L.: 1959m. D.: 75’ a 24 f/s.

info_outline
T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

The Torrent è il primo film americano di Greta Garbo. Separata da Stiller da logiche di studio, la nuova attrice è diretta da Monta Bell; la MGM, probabilmente incerta su come utilizzarne l’esotismo non clamoroso, e forse ricordando che in Gösta Berling era stata un’ italiana, le affida un ruolo latino. Nella sceneggiatura che Dorothy Farnum ricava dal melodramma di Blasco Ibañez, e nei tagli di una macchina da presa docile agli imperativi divistici, Garbo è protagonista assoluta: una ragazza povera e bella in una Spagna di maniera, più cupa che folclorica, innamorata di un ragazzo ricco a cui la madre va preparando un futuro politico, e destinata quindi all’abbandono. Fin dalle prime inquadrature, in modo più massiccio e meno articolato che nei film successivi, è il suo viso a dominare lo spazio e a segnare gli snodi narrativi: le inquadrature sono pensate per farne riverberare la luce, al primo bacio di Ricardo Cortez (uno dei molti annunciati e mancati eredi di Valentino) si indugia oltre misura sul suo chiarore di sfinge estatica, il profilo molto bello, con la testa leggermente sollevata, viene già usato per indicare una purezza altera che qui sprofonda dentro un grumo edipico. Rovesciando le premesse sociali, è lei ad essere isolata in un’aristocrazia di gesti e di sguardi, talora con contrapposizioni crude: l’imbelle Cortez, persuaso dalla madre, straccia la lettera d’amore che lei gli ha scritto e, con gesto involontariamente surrealista, ne dà i brandelli in pasto ai porci”.

Paola Cristalli, Cinegrafie, n. 10, 1997

Vicente Blasco Ibañez lo abbiamo letto nella BUR grigia del dopoguerra, che aveva pubblicato il suo romanzo più conosciuto, Fango e canneti, assieme ai Quattro cavalieri dell’Apocalisse, reso celebre nel 1921 dal film di Rex Ingram con Rodolfo Valentino e nel 1961 dall’interminabile remake di Vincente Minnelli, con Glenn Ford. Non so se oggi i romanzi di Blasco Ibañez siano leggibili, ma restiamo attaccati al ricordo di una scompostezza passionale, di un rifiuto quasi programmatico di ogni revisione stilistica. Era tuttavia un personaggio simpatico. Nato a Valencia nel 1867, fuggì ben presto di casa per stabilirsi a Madrid, dove fece le sue prime esperienze letterarie come segretario di un romanziere d’appendice. Anarchico convinto e furioso, fondò il partito blasquista e fu deputato per alcuni anni, finché, stanco della politica, si recò in Argentina, dove, fra una conferenza e l’altra, trovò modo di fondare una colonia sulle rive del Rio Negro. Tornato in Europa, emigrò a Parigi, da dove si batté con rabbia contro il franchismo, fino al 1938, anno della sua morte, il giorno prima del suo compleanno”.

Sandro Toni

Copia proveniente da