LES STATUES MEURENT AUSSI
Scen.: Chris Marker. F.: Ghislain Cloquet. M.: Alain Resnais. Mus.: Guy Bernard. Prod.: Tadié-Cinéma-Production. DCP. D.: 29′. Bn.
Scheda Film
I due registi, eterni testimoni della Storia, accompagnati dal direttore della fotografia Ghislain Cloquet, offrono un documentario carnale e impertinente sull’‘arte negra’, sulla bellezza delle opere e sul loro ruolo nella cultura africana minacciata dalla colonizzazione francese e dall’influenza irresponsabile degli europei. L’ultima parte del film – censurato per dieci anni – critica apertamente il comportamento colonialista francese. Les Statues meurent aussi è anche un film di montaggio dall’impareggiabile eleganza, sorretto da notevoli giochi di luce tesi a restituire un approccio formale ipnotico. I registi filmano nella penombra il legno nero di seducenti sculture africane, unica testimonianza di tradizioni e civiltà dimenticate, come filmeranno poi i volti e la pelle degli uomini.
Il collettivo Présence Africaine, fondato da Alioune Diop, propone a Alain Resnais e a Chris Marker di girare un documentario sull’‘arte negra’, concetto relativamente nuovo e ancora scandaloso agli inizi degli anni Cinquanta, dato che i paesi colonizzatori avevano a lungo considerato i popoli africani incapaci di intraprendere percorsi di creazione artistica. […]
Alain Resnais, che ha già girato Van Gogh e Guernica, constata che l’‘arte negra’, relegata al Musée de l’Homme anziché essere esposta al Louvre, è di fatto considerata esclusivamente dal punto di vista etnografico. Anche nel settore della conservazione e della valorizzazione delle opere d’arte si riconoscono evidenti segni di disprezzo e di razzismo che distinguono le arti in funzione delle loro origini. In tale contesto, com’è possibile comprendere e apprezzare veramente le sculture africane portatrici di tradizioni orali tanto complesse quanto oscure? Sono le domande poste dai due registi, che si interrogano sull’identità dell’arte africana e più in generale sulla collocazione dell’arte nei musei.
[…] L’arte africana si situa in un luogo particolare tra la vita e la morte. Ossessionato da questa idea, il film strega lo sguardo per ragioni al contempo formali, storiche e in fin dei conti politiche. Se Alain Resnais e Chris Marker discettano volentieri di ‘botanica della morte’ è anche per metterci di fronte alla nostra responsabilità di colonizzatori irrispettosi degli uomini, delle terre e della loro cultura. Il film è un monito contro questo accecamento irredimibile e incoraggia una presa di coscienza adottando una posizione particolarmente ottimista per l’epoca: l’uguaglianza tra neri e bianchi.
Hervé Pichard