LES CHOSES DE LA VIE

Claude Sautet

Sog.: dal romanzo omonimo (1967) di Paul Guimard. Scen.: Paul Guimard, Jean-Loup Dabadie, Claude Sautet. F.: Jean Boffety. M.: Jacqueline Thiédot. Scgf.: André Piltant. Mus.: Philippe Sarde. Int.: Michel Piccoli (Pierre Bérard), Romy Schneider (Hélène), Lea Massari (Catherine Bérard), Gérard Lartigau (Bertrand Bérard), Jean Bouise (François), Henri Nassiet (il padre di Pierre), Marcelle Arnold (la madre di Hélène), Boby Lapointe (l’autista del camion). Prod.: Raymond Danon, Roland Girard, Jean Bolvary, Edmondo Amati, Maurizio Amati per Lira Films, Sonocam, Fida Cinematografica. DCP. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Les Choses de la vie, migliaia di istanti sospesi in un solo istante, come batteri resi visibili in una goccia della morte dall’ingrandimento della cinepresa-microscopio. Forse mai prima d’ora una macchina da presa aveva reso così percepibile l’ordinarietà della morte come esito di una vita ordinaria. L’irruzione dell’imprevedibile che fa della morte di qualcuno, inaspettatamente, la nostra. Mai prima d’ora, passando con prodigioso virtuosismo dal soggettivo all’oggettivo, alternando i fatti rivissuti non come una semplice successione di flashback ma come i motivi musicali intrecciati di una partitura mentale, illuminando dall’alto della morte, suo punto culminante e punto d’arresto, tutta la china di una vita, mai prima d’ora un regista ci aveva così insidiosamente portati a identificarci con il nostro possibile, con il nostro ignoto, con la morte all’angolo della strada. […] È dai tempi di Resnais che non vedo un regista in grado di darci, sul tema della ‘durata’, sul potere e il mistero della memoria, un film così profondo e dal tono così sublime. Un’arte che sembra fluire naturalmente e i cui procedimenti, il senso dell’ellissi, del ritmo (nella perpetua oscillazione dal soggettivo all’oggettivo) non paiono mai artificiali. Perché Claude Sautet non bara; dissolvenze incrociate, campi e controcampi, sono utilizzati senza alcuna remora unicamente in funzione di una logica che è quella della visione d’insieme, del monologo interiore che si fa dialogo d’immagini. Dato che ama la vita, e questo film sulla morte di qualcuno è una poesia alla vita, dolorosa ma dolce, il regista manifesta per gli esseri e le cose una sensibilità attenta, a fior di pelle, fraterna.

Michel Capdenac [Charles Dobzynski], “Les Lettres Françaises”, 11 marzo 1970

È bella di una bellezza di cui è ella stessa l’artefice. Un misto di fascino velenoso e di purezza virtuosa. È altera come un allegro di Mozart e cosciente del potere del suo corpo e della sua sensualità. […] Fin dall’inizio delle riprese di Le Choses de la vie ho capito che ero stato fortunato a incontrare un’attrice e una donna in un momento magico. Perché Romy è allo stesso tempo una donna radiosa e ferita e un’attrice che sapeva già tutto, ma che non aveva mai potuto esprimerlo. Romy è la vivacità fatta persona, una vivacità animale, con bruschi cambiamenti d’espressione che vanno dall’aggressività più virile alla dolcezza più sottile. Romy è un’attrice che va oltre il quotidiano, che assume una dimensione solare. Possiede l’ambiguità che era la prerogativa delle grandi dive. L’ho vista attraverso la macchina da presa, concentrata, angosciata, l’ho vista muoversi con una nobiltà, un’impulsività, un atteggiamento morale che intralciano e disturbano gli uomini.

Claude Sautet in Michel Boujut, Conversation avec Claude Sautet, Institut Lumière/Actes Sud, Parigi 2014

 

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Restaurato nel 2014 da StudioCanal presso il laboratorio Éclair a partire dal negativo originale