LE LION DES MOGOLS
S.: da un’ idea di Ivan Mosjoukine. Ad.: Jean Epstein. F.: Joseph-Louis Mundwiller, Fedor Bourgassoff. Scgf.: Alexandre Lochakoff. C.: Boris Bilinsky. In.: Ivan Mosjoukine (principe Roundghito-Sing), François Viguier (il Gran Khan), Alexiane (Zemgali), Nathalie Lissenko (Anna), François Zellas (Kalavas), Camille Bardou (il banchiere Morel), Henri Prestat (le jeune premier), Adelphi (le freluquet), Myla Seller (la jeune fille), Maurice Vauthier (il regista), Victor Sviatopolk Mirsky (un operatore), Albert Viguier (il principe bambino), il personale degli studi Albatros a Montreuil-sous-Bois. P.: Films Albatros. 35mm. L.: 2272 m. D.: 103′ a 20 f/s.
Scheda Film
Le Lion des Mogols è della fine del 1924, e il 1924 è un anno chiave nella storia del cinema. È l’anno di Greed, è l’inizio della rivolta contro le ricerche tecniche dell’avanguardia francese e tedesca: è la presa di posizione di tutta una gioventù nutrita di cinema americano, che già alza le spalle vedendo Caligari perché crede in Nosferatu. Questa gioventù ne ha abbastanza dell’avanguardia di L’Inhumaine. Essa già si esprime applaudendo Entr’acte e Clarence Brown. Per questi giovani La Belle Nivernaise era un accordo di alleanza che Epstein rompeva. Da parte loro, tutti i fautori delle ricerche espressioniste e impressioniste non nascondevano la loro delusione. Aspettavano un seguito a Cœur fidèle e forse a Le Brasier ardent. Invece è loro offerto Ivan Mosjoukine in calzoni dorati e un racconto nello stile di Maurice Dekobra. Tutto suona falso, inizio e fine. Tutto è fittizio: i moventi dei personaggi, il loro paese, le scene che si rifanno al balletto russo; tutto è impregnato di conformismo borghese e di una ingenuità beata e sciocca. È ben comprensibile l’indignazione di un Mitry. Eppure tutti loro avevano torto. Avevano torto perché Epstein aveva voluto trovare qualcosa e poco gli importava quel che voleva Mosjoukine, poiché Le Lion des Mogols gli sembrava solo un pretesto che gli avrebbe permesso di scoprire ciò che cercava. Poco gli importavano la posterità, o la perfezione classica […]. Il solo rimprovero che ora possiamo fare a Le Lion des Mogols è di non essere completamente fantastico. Di non essere interamente impregnato, dalla prima all’ultima immagine, di quel realismo surreale che Epstein ha saputo infondere alle scene del Jockey, alla corsa in taxi, alle luci di Parigi, al ballo mascherato, senza tuttavia mai uscire dalla realtà.
Henri Langlois, in Cahiers du cinéma, n. 24, 1953