LE AMICHE

Michelangelo Antonioni

Sog.: dal racconto “Tra donne sole” diCesare Pavese (1949); Scen.: Michelangelo Antonioni, Suso CecchiD’Amico, in coll. con Alba de Cespedes; F.: GiannidiVenanzo; Mo.: Eraldo Da Roma; Scgf.: Gianni Polidori; Mu.: GiovanniFusco, eseguite da Libero Tosonie Armando Trovajoli; Su.: Ennio Sensi, Emilio Rosa, Giulio Canavero; Int.: Eleonora Rossi Drago (Clelia), Gabriele Ferzetti(Lorenzo), Franco Fabrizi(Architetto Cesare Pedoni), Valentina Cortese (Nene), Yvonne Fourneaux (Momina De Stefani), Madeleine Fischer (Rosetta Savoni), Anna Maria Pancani(Mariella), Maria Gambarelli(direttrice dell’atelier), Ettore Manni(Carlo, assistente dell’architetto), Luciano Volpato (Tony, fidanzato di Mariella), Concetta Biagini, Alessandro Fersen, Marcella Ferri, Franco Giacobini; Prod.: GiovanniAddessiper Trionfalcine; Pri. pro.: Mostra diVenezia, 7 settembre 1955; Distr.: Titanus 35mm. D.: 104′. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Il primo pregio delle Amiche è d’essere importante come film in sé, come film di lei, Michelangelo Antonioni, indipendentemente da Tra donne sole. L’osservazione di costume, che per Pavese aveva un puro valore di materiale da costruzione per una definizione lirica e morale, qui viene in primo piano, come è del resto compito del cinema, e conformemente alla vocazione d’amaro cronista d’una generazione borghese da lei con tanta coerenza formulata nei suoi film precedenti e portata qui alla più compiuta espressione. È la prima volta al cinema che vediamo la vita delle comitive cittadine medio-borghesi di amici e amiche, le isterie e le acredini che fermentano sotto lo scherzo: tutto un mondo che ha già una sua tradizione letteraria, ma che il cinema non era finora arrivato a toccare, con le sue mani abituate a maneggiare meglio le vicende a forti contrasti, gli exploits individuali, che i chiaroscuri della vita associata. Lei l’ha fatto col suo modo di raccontare scarno e agro, basato sul legame di paesaggi sempre un po’ squallidi e invernali con battute di dialogo pausate e quasi casuali, uno stile cinematografico che si rifà alla lezione dell’understatement di tanti scrittori moderni, tra cui anche Pavese. Il merito del suo film è aver visto questo mondo con uno sguardo sensibile e pur senza indulgenza (senza l’increspatura nostalgico-crepuscolare de I vitelloni di Fellini) mettendo spietatamente in luce la crudeltà spicciola, la sensualità superficiale, la continua viltà di fronte alle situazioni morali più tese; e soprattutto di non essersi limitato a quest’operazione descrittiva di costume, ma d’aver contrapposto ad esso la presenza d’un altro ritmo di vita, d’un’altra ragione e legame, quello del lavoro, qualsiasi esso sia, dirigere sartorie di lusso o maneggiare calce e mattoni, pur che si tratti di realizzarsi in cose compiute (…).

Italo Calvino, “Le amiche” e Pavese (lettera aperta a Michelangelo Antonioni), “Notiziario Einaudi”, novembre-dicembre 1955

Copia proveniente da

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Restauro eseguito dalla Cineteca diBologna presso il laboratorio L'Immagine Ritrovata con il sostegno di Gucci e The Film Foundation