L’AVARIZIA
S. Jean Coty. Sc.: Giuseppe Paolo Pacchierotti. F.: Luigi Filippa. In.: Francesca Bertini (Maria Lorini), Gustavo Serena (Luigi Bianchi), Franco Gennaro (il padre di Luigi), Alfredo Bracci (cav. Porretti), Alberto Albertini. P.:Bertini per la Caesar-Film, Roma, L. O.: 1668 m. D.: 70’. 35mm.
Scheda Film
La Cineteca di Praga ha ritrovato l’intera serie dei sette peccati capitali interpretati dalla Bertini nel ’18 e ’19. Il restauro, che è tuttora in corso, sta avvenendo ristampando i film su negativo bianco e nero e successivamente colorando, con le antiche tecniche, la pellicola positiva; IL CINEMA RITROVATO presenta i primi due film della serie, L’avarizia e L’orgoglio, appena restaurati.
Il 1919 è l’anno in cui sugli schermi della penisola escono I sette peccati capitali, interpretati da Francesca Bertini, un progetto che l’attrice ha voluto con tutte le sue forze ed al quale Barattolo, patròn della Caesar-Film, la Casa di cui l’attrice è la primadonna assoluta, ha dato la sua approvazione, non senza qualche remora. Infatti, la Bertini ha preteso, come ci informa Francesco Soro nelle sue preziose memorie intitolate Splendori e miserie del cinema, un nuovo, speciale contratto, finalizzato proprio alla realizzazione di questi sette film, prevedendo per la sua prestazione artistica, oltre il compenso abituale, un forfait aggiuntivo di duecentomila lire; con lo stesso contratto, inoltre, si stabiliva anche una scrittura esclusiva di due anni (1918-1919), nei quali l’attrice si impegnava per dodici film con un cachet globale di seicentomila lire, più un “premio” di cinquantamila lire per ogni altro eventuale film che le venisse proposto.
Un impegno così oneroso spinse Barattolo a costituire per la Bertini una società consociata alla Caesar, appunto la Bertini Film sotto la cui ragione sociale l’attrice continuò a prodursi fino al 1921, anno in cui, con il matrimonio, si ritirò (non definitivamente) dagli schermi.
Il carisma raggiunto dall’attrice all’epoca di queste operazioni è quasi incredibile: i suoi film, malgrado sia in corso la guerra mondiale, vengono venduti – salvo Germania e Austria – in tutti i paesi del mondo, a scatola chiusa. In Russia, fino allo scoppio della rivoluzione che impedirà le importazioni, l’attrice è nota come “Franzeska” e basta; l’America latina attende con impazienza ogni nuova opera dell’“actriz encantadora”, e così via.
Pertanto, nell’ambito della scelta, della preparazione, e anche in quello della realizzazione dei film che la vedono protagonista, la parola dell’attrice è legge.
Innanzi tutto, i registi: per I sette peccati vuole il bonario Bencivenga, un napoletano – come ce lo descrive Gigetta Morano – tutto lavoro e famiglia, il quale ne dirige quattro; per gli altri si affida a Camillo De Riso, Alfredo de Antoni e Gustavo Serena, tutti esperti routinier, con i quali lavora da anni, che si alternano dinanzi e dietro la macchina da presa, adusi alle sue intemperanze ed ai suoi capricci. Per le luci, Alberto Carta, che sa come riprenderla dal lato migliore e, in mancanza, il suo aiuto Filippa.
I film vennero realizzati a tambur battente nel corso del 1918, uno dopo l’altro, qualcuno addirittura in contemporanea, e presentati in censura tra giugno e dicembre, ma la presentazione venne procrastinata al 1919 per lanciarli come un tutto omogeneo.
Il battage pubblicitario inizia ancor prima della lavorazione dei film e si intensifica a mano a mano che si avvicina il momento dell’uscita. Pagine e pagine di tutte le riviste cinematografiche, all’epoca numerose e molto seguite, annunziano che la “serie” è in preparazione, in lavorazione, è terminata, è pronta per la prima visione. Non vengono pubblicate foto: solo il titolo della serie, il nome (cubitale) della protagonista, la produzione (Bertini-Caesar). Alla fine del 1918, le manchettes pubblicitarie vengono affidate a pittori come Lo Presti o al bravissimo Carlo Nicco, il quale disegna sette stilizzate raffigurazioni dei “peccati” con una figura femminile nuda.
Bisogna dire senza mezzi termini che le recensioni distruggono i sette film, a mano a mano che escono, con un crescendo rossiniano. Anche se il pubblico affolla il “Regina” ed il “Quattro Fontane”, dove hanno luogo le prime visioni dei “peccati”, non mancano intemperanze, sghignazzate e qualche sibilo isolato. Il dissenso maggiore si ha con La gola, dove la platea non gradisce il “grottesco” di Vanzi e le trame che la Contessa Ciuffettino (Bertini) ordisce per far innamorare di sé un ufficialetto, ma anche con L’ira, dove l’attrice impersona una zingara tanto arrabbiata da far quasi ammazzare il pretendente da lei scelto tra altri che se la contendono.
Solo La lussuria trova qualche recensore generoso e un pubblico più ricettivo: il film rimane in programmazione diciotto giorni. Ma è chiaro ormai che l’impresa de I sette peccati capitali è stata una malaugurata avventura e la premonizione che i tempi stanno velocemente cambiando. Vi saranno pochissime seconde visioni e nel 1920 solo qualche cinema di provincia azzarderà riproiettarli.
I sette peccati finiranno per fornire salaci barzellette sui giornali umoristici, mentre sui palcoscenici degli avanspettacoli qualche divetta ne riproporrà l’umore, bertineggiando, se possibile, più della stessa Bertini.