LADRI DI BICICLETTE
Sog.: Cesare Zavattini dal romanzo omonimo di Luigi Bartolini. Scen.: Oreste Bianconi, Cesare Zavattini, Suso Cecchi D’Amico, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Vittorio De Sica, Gerardo Guerrieri. F.: Carlo Muontori. M.: Eraldo Da Roma. Scgf.: Antonino Traverso. Mus.: Alessandro Cicognini. Int.: Lamberto Maggiorani (Antonio Ricci), Enzo Stajola (Bruno Ricci), Lianella Carell (Maria Ricci), Elena Altieri (la patronessa), Gino Saltamerenda (Baiocco), Vittorio Antonucci (il ladro), Giulio Chiari (attacchino), Michele Sakara (il segretario alla beneficenza), Fausto Guerzoni (filodrammatico), Carlo Jachino (il mendicante). Prod.: Produzioni De Sica. DCP. D.: 88’. Bn.
Scheda Film
Carissimo,
mi parlarono, come capirai, in modo enorme del tuo film, domenica. Non venni, perché avevo paura fosse troppo bello. Ebbi, domenica, molte telefonate. Soffrivo d’invidia. Non volevo andarlo a vedere. Naturalmente, sono poi stato, alla prima, al Barberini, sperando che fosse un po’ meno bello di quello che mi avevano detto. Invece è più bello ma in altro modo. Ancora ti ripeti, sei come Verdi e Chaplin: non ragioni: senti.
Anni fa ti dissi che non capivi niente, e dissi che molte volte i geni non capiscono niente, perché sentono, perché vedono. Ora ti dirò una cosa sola. Tu ‘albeggi’ Noi (tutti noi registi italiani) ‘tramontiamo’.
Mario Soldati, lettera a Vittorio De Sica, 26 novembre 1948
Neorealista, Ladri di biciclette lo è secondo tutti i principi che si possono ricavare dai migliori film italiani dal 1946 a ora. Intrigo ‘popolare’ e addirittura populista: un incidente della vita quotidiana di un lavoratore. […] Un incidente davvero insignificante, banale persino: un operaio passa tutto il giorno a ricercare invano a Roma la bicicletta che gli hanno rubato. […]
È evidente che non c’è neppure la materia di un fatto di cronaca: tutta questa storia non meriterebbe neppure due righe nella rubrica dei cani investiti. […] L’avvenimento non possiede in se stesso alcuna valenza drammatica propria. Prende senso solo in funzione della congiuntura sociale (e non psicologica o estetica) della vittima. Non sarebbe altro che una banale disavventura senza lo spettro della disoccupazione che lo situa nella società italiana del 1948. […]
Se Ladri di biciclette è un puro capolavoro paragonabile per il rigore a Paisà, è per un certo numero di ragioni ben precise che non appaiono mai nel semplice riassunto della storia e neppure nell’esposizione superficiale della tecnica di regia.
La sceneggiatura innanzitutto è di un’abilità diabolica, poiché regola, a partire dall’alibi dell’attualità sociale, più sistemi di coordinate drammatiche che la puntellano in tutti i sensi. […] La tesi implicata è di una meravigliosa e atroce semplicità: nel mondo in cui vive questo operaio, i poveri, per sussistere, devono derubarsi fra di loro. Ma questa tesi non è mai posta come tale, il concatenamento degli avvenimenti è sempre di una verosimiglianza insieme rigorosa e aneddotica. […]
Come si vede – e potrei trovare venti altri esempi – gli avvenimenti e gli esseri non sono mai sollecitati nel senso di una tesi sociale. Ma la tesi ne esce tutta agguerrita e tanto più irrefutabile in quanto non ci viene data che in sovrappiù. È il nostro spirito a ricavarla e a costruirla, non il film. De Sica vince ogni volta sul tableau in cui… non ha puntato.
Questa tecnica non è affatto nuova nei film italiani e abbiamo insistito a lungo sul suo valore, a proposito di Paisà e, più di recente, di Germania anno zero, ma questi due ultimi film si rifacevano ai temi della Resistenza e della guerra. Ladri di biciclette è il primo esempio decisivo della conversione possibile di questo ‘oggettivismo’ a soggetti interscambiabili. De Sica e Zavattini hanno fatto passare il neorealismo dalla Resistenza alla Rivoluzione.
André Bazin, Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano 1973