Il Signor Max
Sog.: Amleto Palermi. Scen.: Mario Camerini, Mario Soldati. F.: Anchise Brizzi. M.: Mario Camerini. Scgf.: Gastone Medin. Mus.: Renzo Rossellini. Su.: Vittorio Trentino. Int.: Vittorio De Sica (Gianni il giornalaio/Max Varaldo), Assia Noris (Lauretta), Rubi Dalma (donna Paola), Caterina Collo (zia Lucia), Umberto Melnati (Riccardo), Mario Casaleggio (zio Pietro), Virgilio Riento (Peppe, il giornalaio), Romolo Costa (comandante Baldi), Desiderio Nobile (il maggiore). Prod.: C.O. Barbieri per Astra Film 35mm. D.: 86′. Bn.
Scheda Film
per concessione di Ripley’s Film
Secondo l’ampia e frizzante campagna pubblicitaria che lo annuncia e ne prepara il successo, e anche secondo l’antologia critica d’epoca, Il signor Max è un film di Mario Camerini prima che un film con Vittorio De Sica: il quarto d’un sodalizio felice che si è formato nel 1932 sul set di Gli uomini, che mascalzoni, e se il regista è una garanzia di prestigio, l’attore è “scapigliato” e “simpaticissimo”, ma talora citato dai recensori in sottordine alla sua partner Assia Noris. D’altra parte Camerini ricordava, nell’intervista di Sergio Grmek Germani, come il soggetto di Amleto Palermi prevedesse che a sdoppiarsi tra onesto mondo piccolo (borghese) e aristocrazia perdigiorno fosse il personaggio femminile; i due sceneggiatori, lo stesso Camerini e Soldati, trovarono però più interessante usare l’attore che già in Gli uomini… aveva mostrato di saper reggere bene il doppio gioco interclassista, l’attore di cui “una certa generazione stava memorizzando profondamente il volto, i gesti, le canzoni” (Lorenzo Pellizzari), già familiare in tuta da meccanico come nel frac della rivista Za-bum.
(Poiché un buon tema non si butta via, e il riuso è il cardine del concetto di genere, Soldati recupererà lo sdoppiamento femminile in Dora Nelson e Camerini in Una romantica avventura). Comunque eccolo, il nostro “giornalaio e gentiluomo” (Alberto Farassino), sgusciare senza un lapsus o una perdita di ritmo tra le pieghe di quella che è rimasta, nel tempo, la più bella commedia romantica italiana, non priva del suo tocco screwball. Paragonare la nostra produzione nazionale a quella americana, in questo campo, non è cosa seria; ma se per una e una sola volta si può fare è per questo Signor Max, che valori di produzione e intelligenza registica trasformano in oggetto fuori standard. C’è tutto il glamour scenografico sfumato di déco delle scene del piroscafo, ma c’è soprattutto lo splendore antirealista, nella sua pretesa di realismo, di quell’edicola di Gianni/Max che, ricostruita a Cinecittà, è cuore del film, “cabina di Clark Kent” (ancora Farassino), incubatrice del sogno di riscatto sociale. Poi nelle commedie americane tutto è diverso perché quello slancio di mobilità sociale c’è davvero, e le ereditiere sposano, se non proprio i giornalai, almeno i giornalisti squattrinati; mentre il lieto fine di Gianni prevede il ritorno all’ordine, il matrimonio con la segretaria (però diplomata, d’altra parte anche lui ha fatto il liceo), l’odore di chiuso dell’appartamento degli zii, il ritratto del Duce che controlla dalla parete. Alla sua segreta identità, tuttavia, il giornalaio gentiluomo non rinuncia del tutto, e allora è fin troppo facile tirare in ballo De Sica e la sua leggendaria doppia vita privata, le due famiglie, i due pranzi di
Natale… In fondo, non ci interessa. Preferiamo pensare che quella sua ardita e giovanile
disposizione al mascheramento se la sia tenuta in serbo per il suo miglior ruolo di grandattore, l’impostore Bertone e generale Della Rovere.
Paola Cristalli