I Vampiri
Sog.: Piero Regnoli, Rijk Sijstrom. Scen.: Riccardo Freda, Piero Regnoli, Rijk Sijstrom. F.: Mario Bava. M.: Roberto Cinquini. Scgf.: Beni Montresor. Mus.: Roman Vlad. Int.: Gianna Maria Canale (Giselle Du Grand e la duchessa Marguerite Du Grand), Carlo D’Angelo (l’ispettore Santel), Dario Michaelis (Pierre Valentin), Wandisa Guida (Laurette Robert), Antoine Belpêtré (dottor Julien De Grand), Riccardo Freda (un medico). Prod.: Ermanno Donati, Luigi Carpentieri per Athena Cinematografica, Titanus
35mm. D.: 85′. Bn.
Scheda Film
Il primo vero film dell’orrore italiano, che precede anche il filone di film horror della Hammer, ricostruisce negli studi della Titanus a Roma una Parigi contemporanea fantastica, grazie al geniale scenografo Beni Montresor. In conflitto con i produttori, Freda abbandonò la lavorazione, che fu ultimata da Mario Bava, direttore della fotografia del film (a quanto pare a lui si devono gli intermezzi polizieschi). I vampiri mostra gli elementi chiave dell’approccio all’horror di entrambi i registi in una forma sorprendentemente efficace: l’ossessione di Freda per il conflitto tra la cosiddetta normalità fatta di conformismo-progresso-scienza e l’attrazione irresistibile della devianza e della sensualità; la sua visione della natura fugace, della forza, della bellezza e dell’integrità fisica, e il desiderio disperato di preservarle; e, dall’altro lato, la creazione di Bava di universi fantastici, fatti di dettagli e di un’intensità visiva impareggiabili, paesaggi in chiaroscuro che emergono non tanto dalla psicologia dei personaggi quanto dal magnifico controllo dell’inquadratura dell’autore.
Gary Morris, Universi in collisione: gli horror di Freda, in Riccardo Freda, a cura di Stefano Della Casa ed Emanuela Martini, Bergamo Film Meeting
A me è sempre piaciuto fare i film per primo. I vampiri è nato in un modo abbastanza curioso. Eravamo nello studio di Donati e Carpentieri, stavamo pensando qualche soggetto da realizzare, e io buttai lì l’idea di fare un film dell’orrore. Mi chiesero se avevo già qualcosa di pronto. Io dissi di no, ma che potevo farlo in un giorno. E così arrivai con il soggetto, non lo avevo portato scritto ma inciso su magnetofono. Facevo anche i rumori, tipo lo scricchiolio della porta, era molto divertente. Telefonarono a Lombardo che accettò subito. Forse era uno dei suoi momenti di maggiore disponibilità, aiutata anche dal fatto che non volevo nessun attore (tranne la Canale), che ero disponibile a girarlo in una decina di giorni purché l’operatore fosse Bava e lo scenografo Beni Montresor. Commisi però un errore: lo firmai con un nome italiano. Invece gli italiani, dai loro connazionali, accettano solo le fettuccine. In seguito non ho più ripetuto questo errore, e tutti gli altri mi hanno imitato.
Intervista di Stefano Della Casa, in Riccardo Freda, a cura di Stefano Della Casa ed Emanuela Martini, Bergamo Film Meeting 1993