FELLINI IN CITTÀ ovvero Frammenti di una conversazione su Federico Fellini
Coll.: Eduardo De Gregorio; F.: Giancarlo Lari; Mu.: Alberico Vitalini; Interventi: Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Vittorio Cottafavi, Marco Ferreri, Jean-Luc Godard, Pier Paolo Pasolini, Paolo e Vittorio Taviani; Prod.: Corona Cinematografica; DVD. D.: 13’
Scheda Film
Mai menzionato nelle filmografie, non solo di Maurizio Ponzi (che l’ha diretto prima di esordire nel lungometraggio), ma anche di Godard, Pasolini, Bertolucci, Ferreri, Bellocchio, i fratelli Taviani, Cottafavi (scusate se è poco), Fellini in città giaceva nascosto all’interno del Fondo Corona, riportato alla luce dalla Cineteca di Bologna. È un documento illuminante su come il ‘fenomeno Fellini’ fosse percepito dai cineasti (soprattutto dai più giovani) nel clima che precedeva il Sessantotto. Si susseguono, così, in inquadrature frontali e severe, con lo sguardo fisso in macchina, come davanti ad un plotone d’esecuzione, alcuni amici e nemici eccellenti di Fellini che, in sua assenza, si esprimono senza reticenze sul suo cinema. Cottafavi, con eleganza, parla del “realismo magico” felliniano, della finezza della sua poesia ed esprime la sua ammirazione per 8 ½. Bertolucci, severo come un ragazzo che gioca a fare il giudice, parla di “elefantiasi”, di visione “provinciale” anche se non meno profonda, ma ammette di essere sempre messo nel sacco da Fellini (“irresistibile”). Pasolini, incupito e, si direbbe, tormentato da un’indecifrabile inquietudine, afferma che il caso Fellini è l’espressione delle contraddizioni della piccola Italia cattolica, qualunquistica e provinciale, che tenta di ribellarsi a se stessa con l’irrazionalismo della poesia. Ma poi conclude che è proprio la dilatazione dello stile a renderlo un fatto artistico di grande rilievo. L’intervento più datato (e involontariamente divertente) è quello di Bellocchio che, con il tono compunto e salmodiante di un abate, dice di sentire poco congeniale Fellini perché manca di una visione politica e ha un’ambiguità tipicamente cattolica. Poca simpatia gli manifestano anche i fratelli Taviani, mentre il più affettuoso è Ferreri, che dice di amarlo molto e di essergli vicino in un momento di crisi (evidentemente si riferisce alla malattia che colpì Fellini nel 1967, e alla crisi che fece naufragare il progetto del Viaggio di G. Mastorna). Godard afferma di amare La dolce vita e di considerare Fellini l’unico che faccia film come un ragazzo. Ma è un complimento a doppio taglio. Infine lo stesso Ponzi gli rende omaggio, riprendendo la pineta di Fregene vuota e magica, in eco a una scena di Giulietta degli spiriti, e sottolineando come la poesia felliniana nasca anche dalla sottrazione.
Roberto Chiesi