DITJA ČUŽOGO (TO NADEŽDA, TO REVNOST’ SLEPAJA)

Jakov Protazanov

T. francese: L’Enfant d’un autre. F.: Fëdor Burgasov. Scfg: Alexandr Lošakov. Int.: Ol’ga Južakova (Ol’ga Bazanova), Nicolaj Rimskij (Boris Lukomskij), Evgenij Gajdarov (Vladimir), Iona Talanov, Andrej Brej. Prod.: Iosif Ermol’ev per Ermolieff-Film. 35mm. L.: 763 m. D.: 37’ a 18 f/s [incompleto]. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Gli anni compresi tra il 1918 e il 1920 sono il periodo più confuso della storia del cinema russo, un interregno tra le produzioni private di coloro che non erano ancora emigrati e le produzioni di stato finanziate dal nuovo governo sovietico. Dato che all’epoca la stampa cinematografica era pressoché inesistente, spesso sappiamo pochissimo di trame e cast dei film, per non parlare dei giudizi sulla loro qualità artistica. Perfino i capolavori superstiti, come Ljudi gibnut za metall (La gente muore per il metallo, diretto da Jakov Protazanov e da Alexandre Volkoff), sono assenti dalle cronache dell’epoca e ci sono quindi giunti privi di qualsivoglia dato sulla produzione o sugli incassi.
Ciò vale anche per Ditja čužogo, un film abbastanza misterioso nonostante i grossi nomi in cartellone. Probabilmente non uscì in Russia prima del 1924, quando fu trattato come un film straniero poiché l’intero cast e la troupe erano emigrati poco dopo la fine delle riprese. Quest’ultime si svolsero a Jalta, non solo per il clima mite e i magnifici paesaggi della Crimea, ma anche perché da lì era facile imbar­carsi per l’Europa.
Si tratta probabilmente dell’ultimo film girato da Protazanov in Russia, ma non è un film a tesi né un canto del cigno. La macchina da presa è quasi statica, il chiaroscuro ‘corretto’, il controluce impiegato qua e là, ci sono alcune belle riprese in esterni, le imbibizioni sono modeste; dominano i piani sequenza, ma in una scena si fa ricorso al montaggio incrociato; la recitazione è abbastanza misurata se si tiene conto delle tematiche trattate (tradimento, gelosia, un figlio illegittimo, un duello fatale e tre suicidi). È insomma un film nella media rispetto alla produzione russa della fine degli anni Dieci del Novecento. In questo Protazanov era molto bravo. Di solito dava il meglio di sé solo se il soggetto rivestiva per lui un particolare interesse, e questo accadeva di rado. Ma quando accadde Protazanov fu capace di girare Pikovaja dama (La dama di picche), Otec Sergij (Padre Sergio) o Gorničnaja Dženni (La cameriera Jenny), film che cambiarono il cinema russo. Dirigere invece un tranquillo melodramma su un giovane archeologo e sua moglie, pittrice infedele (tra l’altro né l’archeologia né la pittura svolgono alcun ruolo nella trama), e farlo in un paese martoriato dalla guerra civile, non lo ispirava. Pochi mesi dopo avrebbe iniziato a girare L’Angoissante aventure, le cui riprese proseguirono durante il suo viaggio da Costantinopoli a Marsiglia e che, tematicamente ed esteticamente, avrebbe inaugurato un nuovo affascinante capitolo: ‘il cinema russo in esilio’.

Peter Bagrov

Copia proveniente da

Restaurato nel 1996 da EYE presso il laboratorio Haghefilm