BLACK NARCISSUS
Sog.: dal romanzo omonimo (1939) di Rumer Godden. Scen.: Michael Powell, Emeric Pressburger. F.: Jack Cardiff. M.: Reginald Mills. Scgf.: Alfred Junge. Mus.: Brian Easdale. Int.: Deborah Kerr (suor Clodagh), Kathleen Byron (suor Ruth), Sabu (Dilip Rai, il giovane generale), David Farrar (Mr. Dean), Flora Robson (suor Philippa), Esmond Knight (Toda Rai, il vecchio generale), Jean Simmons (Kanchi), Jenny Laird (suor Blanche [Honey]), Judith Furse (suor Briony), May Hallatt (Angu Ayah). Prod.: The Archers / Rank. 35mm. Col.
Scheda Film
L’aneddoto probabilmente più famoso sulla realizzazione di Black Narcissus narra che la troupe riunita per la prima volta chiese in quale locali tà dell’India si sarebbe girato il film e Powell rispose “Horsham”, pregustando la reazione di tutti quelli che sognavano un bel viaggio all’estero dopo le restrizioni della guerra. Ma, grazie alla nuovissima copia appena prodotta dal BFI, si stenta a credere che questo capolavoro in Technicolor sia stato interamente fotografato da Jack Cardiff ai Pinewood Studios, mentre le riprese in esterni si svolsero in un giardino subtropicale del Sussex. Grazie al reparto scenografia di Alfred Junge, con i matte painting di Percy Day e della sua squadra, l’immaginario convento himalayano di Mopu si trasformò in un convincente sogno orientalista che valse giustamente l’Oscar a Cardiff e a Junge.
Powell pensava che il romanzo del 1939 di Rumer Godden, con la sua prosa elegante e algida, potesse risultare “estremamente esotico ed erotico sullo schermo”. Non sorprende che Godden preferisse di gran lunga il trattamento riservato da Renoir all’altro suo romanzo indiano, Il fiume, ritenendo che Powell e Pressburger avessero troppo enfatizzato l’erotismo della storia. Ma quando un gruppo di suore anglicane si insedia nella suggestiva cornice del palazzo di un ex sovrano, già noto come “Casa delle donne”, con la scettica presenza maschile di David Farrar, agente del loro benefattore, e una seducente indiana da proteggere, ci sono tutte le premesse per creare un tesissimo melodramma di desideri inappagati.
L’attenzione si è inevitabilmente concentrata sul ruolo che segnò la carriera di Kathleen Byron, suor Ruth, spinta alla pazzia dalla sua passione per Farrar, ma la suor Clodagh di Deborah Kerr, dilaniata da desideri contrastanti, non è meno memorabile. Considerando che l’indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna si stava già compiendo l’anno in cui il film uscì, è difficile non vederlo come una predizione del fallimento del progetto imperiale. Per Powell l’orchestrazione di suoni e colori nella scena madre fu il suo più audace esperimento di “cinema totale”. È interessante osservare che Ivan il terribile di Ėjzenštejn, la cui seconda parte era ancora vietata all’epoca, si era già avventurato in un territorio simile.
Ian Christie