ACT OF VIOLENCE
Sog.: Collier Young. Scen.: Robert L. Richards. F.: Robert Surtees. M.: Conrad A. Nervig, Blanche Sewell. Scgf.: Cedric Gibbons, Hans Peters. Mus.: Bronislau Kaper. Int.: Van Heflin (Frank R. Enley), Robert Ryan (Joe Parkson), Janet Leigh (Edith Enley), Mary Astor (Pat), Phyllis Thaxter (Ann Sturges), Berry Kroeger (Johnny), Taylor Holmes (Gavery), Harry Antrim (Fred), Connie Gilchrist (Martha), Will Wright (Pop). Prod.: William H. Wright per MetroGoldwyn-Mayer Corp. DCP. D.: 82’. Bn.
Scheda Film
Situato tra Odissea tragica (1948) e Uomini (1950), Act of Violence rappresenta il fulcro di una trilogia di Fred Zinnemann incentrata su persone che vivono tra le rovine fisiche o emotive della Seconda guerra mondiale. Mentre gli altri due film concedono visioni piene di speranza per orfani sfollati e reduci disabili, il noir Act of Violence offre uno sguardo umano ma implacabile su cicatrici che non guariscono e colpe che non possono essere cancellate. Il soggetto originale era di Collier Young, che tentò inizialmente di attirare l’interesse del produttore Mark Hellinger prima di vendere il trattamento alla MGM, che affidò la sceneggiatura a Robert L. Richards, inserito pochi anni dopo nella lista nera per essersi rifiutato di collaborare con la Commissione per le attività antiamericane.
Una semplice premessa da thriller – un padre di famiglia rispettato e di successo è perseguitato da un assassino squilibrato – si sfalda in un labirinto di ambiguità morale, brillantemente tracciato sul paesaggio dell’America postbellica da Zinnemann e dal direttore della fotografia Robert Surtees. Le riprese in esterni, che spaziano dalle acque cristalline del Big Bear Lake al quartiere degradato di Bunker Hill a Los Angeles, conferiscono al film una potente miscela di realismo documentario e incubo espressionista. Un semplice cambiamento di luce trasforma un’idilliaca casa suburbana in una prigione di ombre. I corrimano delle scale, le sbarre di un box per bambini, le ringhiere di una scala antincendio, una rete metallica e un tunnel stradale evocano tutti il campo di prigionia in cui si sono incontrati il cacciatore e la sua preda, e dal quale, psicologicamente, nessuno dei due è mai uscito.
Le interpretazioni sono impeccabili dalla prima all’ultima, in particolare quella di Van Heflin, che si disintegra fisicamente davanti ai nostri occhi mentre il senso di colpa del suo personaggio lo divora. Una menzione speciale va a Mary Astor nel ruolo della prostituta da bar che ha visto tutti i guai del mondo e consola l’uomo tormentato con la sua filosofia: “Quindi sei infelice. Rilassati, nessuna legge dice che devi essere felice”.
Imogen Sara Smith