Guida al Cinema Ritrovato 2019
di Cecilia Cenciarelli, Ehsan Khoshbakht, Mariann Lewinsky, Gian Luca Farinelli
Notre-Dame Gabin Chaplin
Non erano effetti speciali. Inattese e quasi irreali nella loro concretezza, si possono dimenticare le immagini del rogo della Cattedrale di Notre-Dame? Una parte della cultura umana stava andando in fumo sotto in nostri occhi. L’eterno presente sempre uguale e manipolabile dell’età del selfie era svanito; nella sventura, abbiamo avuto diritto a uno spiraglio di verità: di colpo la realtà, con le sue svolte inattese e tragiche, è riapparsa. Il passato non è liscio come l’eterno presente, è, invece, un groviglio di continui cambiamenti. Ci farà bene vedere il cortometraggio di Georges Franju Notre-Dame, cathédrale de Paris, che ci ha fatto scoprire Bernard Eisenschitz, e capire che, nel 1957, prima dei molti interventi che si sono susseguiti, la grande cattedrale parigina appariva ben diversa da quella che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni. Il cinema del passato, arte umana, fragile, essa stessa sempre a rischio di scomparire, ci aiuta a capire che il tempo non si ferma, nulla è per sempre, nemmeno le pietre.
I film del passato sono sempre pronti a sorprenderci, a contraddire ogni nostra certezza. Ad esempio, Jean Gabin, può aspirare all’eternità. Faccia, corpo, sorriso della Francia del Fronte Popolare, di un’Europa che sperava in un mondo migliore e che, invece, ha avuto in premio guerre sanguinose. Lui, che come pochi altri attori era entrato, giovanissimo, nella Storia, riappare dopo la guerra, diverso, non più giovane, coi capelli imbiancati, innamorato di Marlene Dietrich, che, anche se era fuggita da Hitler, era pur sempre tedesca. Gabin saprà costruire, sulle proprie sconfitte, un mito solitario che, dagli anni Cinquanta, andrà ostinatamente nella direzione opposta ai suoi tempi: rifugiato nella sua campagna (quale divo del dopoguerra abbandona la città, per fare il contadino?) e nei suoi ruoli, diventerà indigesto per chi voleva, in quegli stessi anni, cambiare tutto e sarà adorato da chi voleva che tutto restasse uguale. Oggi possiamo guardare i suoi film e commuoverci davanti alla sua arte fragile, unica, (irripetibile?).
Mentre lavoriamo agli ultimi dettagli del Cinema Ritrovato ci sentiamo come Charlot, sul filo, nella sequenza del Circo (1928). Il vagabondo pensa di essere invincibile, sicuro grazie a un imbroglio, a una corda che lo dovrebbe proteggere dalle cadute e trasformarlo, da incapace, in artista sprezzante del pericolo. All’improvviso, la corda lo abbandona. I grandi comici sono anche grandi filosofi. Non è, quella sequenza, una delle più lucide rappresentazioni della nostra condizione umana? “Le bonheur n’est pas gai”, dicono Ophüls e Maupassant nel finale del film più crudele e tenero del festival di quest’anno, Le Plaisir, 1952, un trattato sulla leggerezza e il dramma della vita, che fa vibrare noi spettatori di oggi. Ugualmente, saremo tutti meravigliati nell’ascoltare le nostre risate che si uniranno a quelle di migliaia di amici e sconosciuti durante le proiezioni in Piazza Maggiore di The Cameraman (1929) e Il circo (1928). Due film assoluti, meravigliosamente senza parlato, quando il cinema parlato già esisteva ed era già il futuro. In quest’epoca, così tecnologica, dove siamo tutti preoccupati per il nostro destino, ritrovarci esseri umani tra gli esseri umani, illuminati dal genio di Keaton e Chaplin, a ridere di gag immaginate quasi cento anni fa, usando un’arte che già all’epoca pareva non più moderna, non ci deve riempire di felicità? Le sale, Piazza Maggiore, piazzetta Pasolini, che ogni anno si riempiono di esseri umani, non ci suggeriscono che esiste un bisogno primario di stare assieme, di uscire dall’isolamento della realtà parallela?
Miracoli a Bologna
Secondo Gabriel García Márquez Miracolo a Milano è un film unico: prima c’erano le favole con gli effetti speciali come Thief of Bagdad o i film di Walt Disney e, all’opposto, i film neorealisti, come Germania anno zero o Ladri di biciclette. Ma favole realiste, con effetti speciali, non si erano mai viste (e resteranno una rarità anche dopo). Vittorio De Sica chiamò il massimo esperto di effetti speciali dell’epoca, Ned Mann (che aveva lavorato nei grandi film degli anni Venti con Douglas Fairbanks e poi nelle produzioni di Alexander Korda; al Cinema Ritrovato vedremo la sua arte nelle scene dell’inondazione di The Winning of Barbara Worth, 1926, di Henry King). De Sica, anche produttore del film, si disperò per il costo degli effetti e per il tempo necessario per realizzarli. Ancor più per il fatto che nel volo finale si vedevano chiaramente i fili, che facevano volare le scope. Oggi, con il digitale, quei fili si possono facilmente far scomparire, ma abbiamo deciso di non farlo, di non cambiare la storia del film. Quel piccolo errore tecnico ci racconta della distanza tra la nostra epoca e quella in cui il film fu realizzato, dell’Italia dei primi Cinquanta, di quando, ancora, non tutte le immagini erano manipolabili, nemmeno per un film miracoloso, della distanza tra la creazione artistica oggi ed allora.
Tuttavia la storia del cinema è ricca di miracoli. Come spiegare altrimenti i quattro gioielli noir di Felix Feist, scoperti da Eddie Muller, così superiori al resto della sua produzione. Da non perdere il rabbioso e selvaggio The Devil Thumbs a Ride (1947), interpretato da Lawrence Tierney (lo ricordiamo tutti, quarant’anni dopo, nei panni del malavitoso Joe Cabot in Le iene (1991) di Tarantino).
Come racconta Dave Kehr, la notte del 9 luglio del 1937 a Little Ferry, nel New Jersey, andò a fuoco il laboratorio DeLuxe: quella notte scomparvero i negativi di 1173 titoli prodotti dalla Fox tra il 1915 e il 1935. Si pensava per sempre, ma grazie al lavoro degli archivi cinematografici, della 20th Century Fox Film Corporation, del Film Department del MoMA, possiamo gioire della visione, per il secondo anno consecutivo, di copie splendenti dei film prodotti da William Fox e diretti da alcuni dei maggiori autori del cinema statunitense, tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta. Tra questi eccelle la figura di Henry King, a cui dedichiamo un omaggio che mostrerà le qualità della sua opera, ugualmente eccellente nell’epoca muta e in quella sonora.
Altro miracolo: quello che secondo molti è il più bel sistema di riproduzione del colore di tutta la storia del cinema, il Chronochrome Gaumont (1912), non sarebbe arrivato a noi se Léon Gaumont non ne avesse inviato alcuni esempi a George Eastman. Tutta la produzione è bruciata nell’incendio, solamente le bobine conservate a Rochester dalla George Eastman House sono sopravvissute e oggi riappaiono, con colori così poco realistici che sembrano trattenere l’aria di quando sono stati girati, gli ultimi anni della Belle Époque. Quei colori che Huston e Oswald Morris inseguiranno in Moulin Rouge (1952), forzando, in modo inedito, i limiti e le possibilità del Technicolor, per trasformare la tecnica in un linguaggio e raccontare, attraverso i colori, Toulouse-Lautrec e la sua epoca.
Da Musidora a Varda, da Mangini a Stöckl, da Jane Campion a…
Da molti anni Il Cinema Ritrovato cerca di riscrivere una storia del cinema al femminile. Il lavoro degli archivi, in particolare della Cinémathèque française, dove Musidora era di casa e fu incaricata da Langlois di intervistare i protagonisti dell’epoca muta, ci consente di ritornare in modo nuovo su questa straordinaria artista, icona, musa, attrice, regista, produttrice, archivista, di cui oggi possiamo cogliere appieno la forza dirompente, la libertà artistica che l’ha sempre guidata e che ce la rende così vicina.
Abbiamo avuto la fortuna di accogliere varie volte a Bologna Agnès Varda e la sua vitalità senza limiti ci ha contagiati in maniera non curabile. Presenteremo il suo Varda par Agnès, con il quale questa artista unica ci consegna le chiavi della sua opera, perché abbia una nuova vita. Accoglieremo, per la prima volta, Jane Campion, che potremo ascoltare in un’attesa Lezione di Cinema.
Neun Leben hat die Katze (Il gatto ha nove vite), un gioiello pieno di colori, ci farà respirare l’utopia del ‘68 attraverso lo sguardo femminista di Ula Stöckl, mentre Cecilia Mangini sarà a Bologna e ci presenterà Essere donne, la prima inchiesta sulla vita quotidiana al femminile, nell’Italia del 1965. Tre documentari recenti, su Anna Magnani, Claudia Cardinale, Romy Schneider (quest’ultimo basato sull’intervista e sul lavoro di Alice Schwarzer) ci restituiscono tre ritratti credibili, pieni di sfumature sulla vita e sulle scelte, anche molto dolorose, di tre donne che sono state anche tre straordinarie attrici.
L’arte della performance
Quando si torna da un festival, accanto a noi ci accompagnano gli attori e i personaggi che abbiamo preferito. Nessun festival può presentare un cast all’altezza del Cinema Ritrovato. Ne citiamo alla rinfusa alcuni, Connie Veidt che interpreta, approfittando di una breve abolizione della censura in Germania, la prima storia gay della storia del cinema (Anders als die Andern, 1919, di Richard Oswald), Fritz Kortner, l’indimenticabile sposo di Louise Brooks in Die Büchse der Pandora, che vedremo in un ruolo autobiografico, quello di un professore che torna in Germania dopo la guerra e dopo l’esilio in California, e scopre che poco è cambiato (Der Ruf, 1949), Henry Fonda, perfetto comprimario in Jesse James (1939) di Henry King, e suo figlio Peter, cinquant’anni dopo, icona di una nuova epoca in Easy Rider (1969). Nello stesso film l’apparizione folgorante di Jack Nicholson, o quella di Jimmy Stewart (Destry Rides Again, 1939) nel saloon dove lavora Marlene Dietrich, l’immenso trio di Husbands (1970), Ben Gazzara, Peter Falk, John Cassavetes, la mitica coppia Omar Sharif-Faten Hamama inventata da Youssef Chahine in Serâa fil al-wadi (Cielo infernale, 1954), un’altra coppia indimenticabile, Bekim Fehmiu e Olivera Vučo, in Ho incontrato anche zingari felici (Skupljači perja, 1967) di Aleksandar Petrović, un giovane e innamoratissimo Armin Mueller-Stahl, in una delle sue prime interpretazioni, nel film della Repubblica democratica tedesca, Königskinder (1962) di Frank Beyer, la travolgente performance di John Cameron Mitchell in Hedwig and the Angry Inch (1998). L’uscita dalle acque di Ursula Andress (inutile ricordare il film), Marina Vlady ineffabile Ape regina nel primo, censuratissimo, film italiano di Marco Ferreri (1963), il più ruvido attore hollywoodiano di sempre, Sterling Hayden (che quest’anno sarà riletto da Philippe Garnier), Eduardo De Filippo, da solo e con i fratelli Titina e Peppino, un attore gigantesco della tradizione napoletana, ma anche eccellente regista di cinema. E poi i volti che proprio non si possono dimenticare, gli attori senza nome, i clochard di Miracolo a Milano, i lavoratori migranti spagnoli e, soprattutto, italiani di Toni (1935, di Jean Renoir, che sarà la scintilla per la nascita del neorealismo italiano), i ragazzi di Los olvidados, i ballerini del Moulin Rouge…
Tempo e Spazio
Quando nel Cameraman Buster Keaton riceve l’attesa chiamata dell’amata, mentre lei continua a parlare, lui lascia la cornetta e corre da lei, attraversando in un attimo la città; quando sarà alle sue spalle, la didascalia reciterà, “Scusa se sono arrivato un po’ tardi”. Ecco, durante Il Cinema Ritrovato, per otto giorni tutti possiamo dotarci di super poteri ed essere come Buster Keaton, attraversare il tempo (tre secoli) e lo spazio (decine di paesi) di corsa. Farete, come Keaton, incontri sensazionali. In nessun festival del mondo potete incontrare, in pochi giorni, la Contessa Élisabeth Greffulhe, la donna che ispirò Proust, Alfred Dreyfus che, nel 1899, entra al tribunale di Rennes per il suo secondo processo, vedere la folla ai funerali di Rosa Luxemburg, che avvennero cento anni fa, nel giugno del 1919, sei mesi dopo la sua uccisione, o sentire le parole di una delle figure più carismatiche del Novecento, il presidente del Burkina Faso, Thomas Sankara, che parla al Festival panafricano del cinema e della televisione di Ouagadougou dell’utopia panafricana. Figure che attraversano la storia dell’umanità, di cui abbiamo letto, ma che difficilmente possiamo dire di avere visto. Due sezioni esplorano il tempo, 1899: Cinema anno quattro, Cento anni fa: 1919, tre il tempo e lo spazio “Siamo gli indigeni di Trizonia”: l’invenzione del cinema della Germania Ovest, 1945-49, Cinemalibero – Fespaco (1969-2019) e Sotto i cieli di Seul: l’epoca d’oro del cinema sudcoreano (gli anni Sessanta). Sentirete parlare molte lingue diverse, sullo schermo e in sala. Il Cinema Ritrovato cerca di riannodare fili della memoria che il tempo ha spezzato, ma anche di avvicinarci a idee e sguardi che abbiamo dimenticato. Maestri come Gaston Kaboré, Med Hondo, Souleymane Cissé, Djbril Diop Mambéty… devono tornare a essere visti, ora che parte dei loro film sono stati restaurati, per scoprire che, forse, il cinema è nato in Africa.
Piccolo Grande
Nel nostro festival convivono anche le dimensioni più diverse. Film di mezzo minuto (i Lumière, i Mutoscope&Biograph) e di oltre sette ore, CzechMate: In Search of Jiří Menzel di Shivendra Singh Dungarpur dove il cineasta, cinéphile, difensore della storia del cinema indiano, ha tallonato per vari anni uno dei più autorevoli cineasti della Nová vlna cecoslovacca, Jiří Menzel. I documentari sul cinema sono sempre più numerosi e formattati, nello stile e nelle durate. Il lavoro di Shivendra segue un’altra strada, quella della profondità, ed è un atto d’amore al cinema che lo ha formato, al genio di Menzel, che si mostra con ironia e senza segreti, raccontando le vittorie, le cadute, gli errori suoi e del suo paese. Non meno utopico è Tavernier, con il suo Voyage à travers le cinéma français. Titolo azzeccato, perché gli otto episodi (ne mostreremo quest’anno due) sono il racconto molto personale di un viaggiatore speciale, che fa questo viaggio da tutta la vita. Accanto a questi ‘mostri’, la sezione 16mm. Piccolo grande passo, dove la ridotta dimensione del formato assicura un’ampia libertà d’espressione agli artisti che lo scelgono. Gemme quasi sconosciute di Maria Lassnig, Peter Hutton e Margaret Tait vi sorprenderanno se sceglierete di vederle. Le diversità saranno anche nei formati, nei supporti, nei sistemi di proiezione, studiate il programma e scoprirete proiezioni digitali con lanterne laser, proiezioni 35mm con lanterna al carbone, proiezioni 16mm, copie vintage Technicolor…
A proposito di misure, Apocalypse Now – Final Cut
Forse l’ultimo film smisurato, passaggio verso un altro cinema, il film che inventa un nuovo modo di concepire il suono, un’opera così priva di limiti, che nemmeno i suoi numeri strabilianti, possono spiegare l’enormità della sfida intrapresa da Coppola e dai suoi collaboratori.
Colonialismo e guerra del Vietnam, droghe e imperialismo yankee e francese, un nuovo modo di produrre, una capacità visionaria di dirigere e inventare. Saranno sufficienti i 270 mq dello schermo di Piazza Maggiore?
Già pregustiamo di vederlo nella sua terza versione, la Final, dopo quella Classic e la Redux, introdotto e raccontato direttamente dalla voce di Francis Ford Coppola.
Federico, il Circo e… Benvenuti!
Anche se entrambi hanno lavorato con Nino Rota, difficile pensare a due idee così antitetiche sul suono cinematografico come quella di Fellini e di Coppola. Fellini non credeva nelle tecnologie e detestava la presa diretta. Nel suo documentario, I clowns, che è pieno di documenti preziosissimi sul circo, mette in scena una finta troupe, dove il fonico, interpretato da Alvaro Vitali, si aggira sul set trascinando un microfono che non verrà mai veramente usato. Sulla soglia dei cinquant’anni, tra il 1969 e il 1970, realizza due documentari, Block-notes di un regista, prodotto dalla rete televisiva americana NBC, e I clowns, prodotto dalla RAI, che verrà trasmesso la vigilia di Natale, in bianco e nero, in televisione e il giorno di Natale uscirà in sala, con scarso successo in entrambe le occasioni. Ci stiamo avvicinando al centenario di Federico Fellini, sarà il 20 gennaio del 1920. È bello pensare che il prossimo anno in tutto il mondo si celebrerà il grande riminese e si rivedranno i suoi film. Noi gli rendiamo omaggio con il restauro di Roma, e con diversi film sul suo amore per il Circo.
«Seduto sulle ginocchia di mio padre, in mezzo alle luci rutilanti, alle grida, ai ruggiti e sotto l’uragano degli applausi, ho provato la sensazione di aver trovato qualcosa che era in me da sempre, ma che rappresentava anche il mio avvenire, il mio lavoro, la mia vita. Era una profezia. Perché il cinema, questo modo di vivere in comunità con gli artisti impegnati nella realizzazione di un film, non è la stessa cosa che far parte di un circo?»
Per Fellini il circo è la culla di tutte le forme di spettacolo, la metafora della vita, la ragione profonda del suo amore per i primi Maestri, Chaplin e Keaton, che sono spesso citati nei Clowns, dove appare anche una giovanissima e splendente Victoria Chaplin con il marito Jean-Baptiste Thiérrée, che stavano lavorando a un’idea tutta nuova di circo poetico.
Presenteremo il volume Polidor e Polidor (Edizioni Cineteca di Bologna, fresco di stampa), nel quale Marco Giusti ha ricostruito la storia appassionante dei due fratelli Polidor, ovvero Ferdinand ed Edouard Guillaume, pionieri del circo e del cinematografo tra l’America e l’Italia, dove l’ormai anziano Ferdinand sarà chiamato quattro volte a lavorare per Fellini (Le notti di Cabiria, La dolce vita, 8½, Tre passi nel delirio). Grazie alla disponibilità di Pathé, che lo ha restaurato in tempi record, potremo presentare il rarissimo Le Cirque de Calder, 1961, di Carlos Vilardebó, con il famoso Cirque Calder, un circo in miniatura, realizzato con legno, fil di ferro e stoffe tra il 1926 e il 1931 da Alexander Calder, animato a mano e con l’aiuto di congegni meccanici dall’artista che crea, davanti ai nostri occhi, una performance strabiliante.
Dedichiamo il finale a due figure molto vicine a Fellini, due vere antistar, Vincenzo Mollica e Gideon Bachmann. Il Cinema Ritrovato non ha tappeti rossi e non dà premi, ma, per una volta, tradiamo i nostri principi e attribuiamo il Premio Il Cinema Ritrovato a Vincenzo Mollica. Nel paese che da quarant’anni non crede più nel cinema, è stato il volto del cinema in televisione. Più poeta che giornalista, capace di dire cose complicatissime col passo ironico e leggero di chi sa trasmettere, è stato uno degli amici più fedeli di Federico Fellini.
Gideon Bachmann ha scoperto, purtroppo, Il Cinema Ritrovato solo negli ultimi anni della sua vita. I suoi genitori, subito dopo le elezioni del ‘33, lo portarono via dalla Germania nazista, ha conosciuto la Palestina durante la Seconda guerra mondiale. Ossessionato dalla memoria, per tutta la vita ha realizzato interviste ai cineasti del mondo intero, registrandone l’audio, e, a volte, anche le immagini. Grazie alla collaborazione con Cinemazero di Pordenone, che ne conserva gli archivi, da quest’anno iniziamo a presentarne il lavoro, in gran parte sconosciuto, mostrando i suoi film su Fellini, documenti essenziali per svelarne il genio.
Benvenuti a Il Cinema Ritrovato 2019, un festival per tutti, frutto, come il circo, di un lungo lavoro collettivo di molte persone e istituzioni illuminate. Vi attendono cinquecento film, cinquecento atti di generosità, che cercano i vostri sguardi per divertirvi, emozionarvi, aiutarvi a conoscere meglio chi siamo. Un’esperienza collettiva, che si svolge in nove giorni a Bologna, in Italia. Se ci sarete vi sorprenderete della grandezza del cinema e della sua (nostra) storia. .
Buon Cinema Ritrovato 2019!