YOSO
Sog.: Fuji Yahiro. Scen.: Teinosuke Kinugasa, Jun Sagara. F.: Hiroshi Imai. M.: Kanji Suganuma. Scgf.: Shigeru Kato, Atsuji Shibata. Mus.: Akira Ifukube. Int.: Raizo Ichikawa (Dokyo), Yukiko Fuji (l’imperatrice), Masayo Banri (Chiho), Hikosaburo Kataoka (Abe no Kimimaro), Mieko Kondo (Hiromi), Eitaro Ozawa (Fujiwara no Kiyokawa), Kenzaburo Jo (Fujiwara no Yoshikatsu), Tatsuya Ishiguro (Takeuchi no Mahito), Jun’ichiro Narita (Ichihara no Oji). Prod.: Masaichi Nagata per Daiei. 35mm. D.: 98’. Bn.
Scheda Film
È il penultimo film di Kinugasa, l’ultimo girato negli studi Daiei di Kyoto e la sua ultima regia solista (la sua carriera si concluse con Chiisai tobosha, Il piccolo fuggitivo, 1966, una rara coproduzione sovietico-giapponese diretta insieme a Ėduard Bočarov). Rivisita l’ambientazione nel periodo Nara di Daibutsu kaigen e si ispira a uno scandalo storico che coinvolse l’imperatrice Koken (718-770), la quale abdicò nel 758 per poi riprendere il trono con il nome di imperatrice Shotoku nel 764. Nell’intermezzo tra i due regni fu apparentemente guarita da una malattia da un monaco taumaturgo noto come Dokyo; è stato ipotizzato che tra i due potesse esserci una relazione sentimentale. Dopo essere diventata imperatrice per la seconda volta, gli elargì favori e promozioni, fino al titolo di Cancelliere del Regno. Tale condotta destabilizzò la corte, e forse non sorprenderà che Dokyo si sia guadagnato la reputazione di Rasputin del Giappone.
Il film crea una versione romanzata di questi eventi, esplorandone le implicazioni religiose, romantiche e politiche. Per Hayley Scanlon, Kinugasa “dipinge la caduta in disgrazia [di Dokyo] come una parabola buddhista su un uomo che paga un caro prezzo per aver ceduto alle passioni terrene”. Dokyo è interpretato dall’idolo del pubblico Raizo Ichikawa (1931-1969), che fino alla tragica prematura scomparsa per un tumore fu uno dei più grandi divi della Daiei. L’imperatrice è interpretata da Yukiko Fuji (1942-2022), che doveva poi affiancare nuovamente Ichikawa in Ken (1964), proiettato a Bologna nel 2022; la sua breve carriera cinematografica si concluse l’anno successivo quando sposò il divo Jiro Tamiya, suo collega alla Daiei.
Fu il capo della Daiei in persona, Masaichi Nagata, a chiedere a Kinugasa e a Ichikawa di lavorare al film. Per la stesura della sceneggiatura Nagata scelse Fuji Yahiro (1904-1986), il quale disse poi che il film finito trasformava completamente la sua concezione, e in effetti Kinugasa fu accreditato come sceneggiatore. Il recensore di “Kinema Junpo” lamentò che il film si concentrasse soprattutto sulla storia d’amore, escludendo il contesto storico e sociale. In ogni caso, lo spettatore che si lasci entusiasmare dallo spettacolo visivo apprezzerà la nitida e contrastata fotografia in bianco e nero di Hiroshi Imai, che ricrea l’atmosfera del periodo Nara in una serie di immagini sontuose e decorative ma allo stesso tempo eloquenti.
Alexander Jacoby e Johan Nordström