VÍCTIMAS DEL PECADO

Emilio Fernández

Scen.: Emilio Fernández, Mauricio Magdaleno. F.: Gabriel Figueroa. M.: Gloria Schoemann. Mus.: Antonio Díaz Conde. Int.: Ninón Sevilla (Violeta), Tito Junco (Santiago), Rodolfo Acosta (Rodolfo), Ismael Pérez Poncianito (Juanito), Rita Montaner (Rita), Margarita Ceballos (Rosa), Francisco Reiguera (don Gonzalo). Prod.: Pedro Calderón, Guillermo Calderón per Producciones Calderón S.A.. DCP. D.: 90’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Malgrado il titolo moralizzante, Víctimas del pecado è un magnifico melodramma tipicamente messicano (con svariati innesti cubani) appartenente al sottogenere ‘cabaretero’, un film strappalacrime audace, realistico e crudelmente drammatico che si fa strada a passo di rumba tra una serie di disastri e di ingiustizie per arrivare a quello che sembra essere l’attesissimo lieto fine; senonché le catastrofi proseguono poi per anni fino a una conclusione (sobriamente) felice. Sicuramente non è e non sarà mai il film più prestigioso di Emilio Fernández proprio perché è uno spudorato melodramma, ma è probabilmente tra i migliori della sua notevolissima carriera.
Violeta (Ninón Sevilla), eroica e quasi santa ballerina di rumba al Changó che finisce a battere il marciapiede dopo aver adottato un neonato abbandonato (in un bidone della spazzatura!), non è una vittima passiva e impotente, ma una donna vera, combattiva, schietta e ribelle, capace di difendersi furiosamente e di colpire senza pietà lo spregevole gangster protettore interpretato (con gusto) da Rodolfo Acosta, mandandolo in prigione come merita e infine uccidendolo. Il gesto le frutta però il carcere e la separazione dal bimbo adottato.
Nei novanta minuti canonici di un lungometraggio, Fernández ci narra una sfilza di vicende che potrebbero riempire varie stagioni di una delle serie televisive odierne, e lo fa con una parsimonia che all’epoca sembrava quasi naturale e che a noi appare come un’impresa straordinaria, per non dire un miracolo. Il regista riesce anche a inserire, in maniera funzionale, vari balletti fantastici, una canzone del grande Pedro Vargas (seduto a un tavolo, un braccio al collo) e qualche mambo di Pérez Prado con la sua orchestra.
Non si tratta né di un film cinico né di un women’s film commerciale, ma una storia sincera, come quelle di Mizoguchi, che esprime compassione e simpatia per le donne di vita, che Fernández probabilmente conosceva bene, come indicano altri suoi film sulla prostituzione e i bordelli (da Las abandonadas, Abbandonata, 1945, a Zona Roja, 1975-1976).

Miguel Marías

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