UNDER CAPRICORN

Alfred Hitchcock

Sog.: dal romanzo omonimo (1937) di Helen Simpson. Scen.: James Bridie, Hume Cronyn. F.: Jack Cardiff. M.: A.S. Bates. Scgf.: Thomas Monahan. Mus.: Richard Addinsell. Int.: Ingrid Bergman (Lady Henrietta ‘Hattie’ Flusky), Joseph Cotten (Sam Flusky), Michael Wilding (Charles Adare), Margaret Leighton (Milly), Cecil Parker (Sir Richard, il governatore), Denis O’Dea (signor Corrigan), Jack Watling (Winter), John Ruddock (Cedric Potter), Bill Shine (signor Banks), Victor Lucas (reverendo Smiley). Prod.: Alfred Hitchcock per Transatlantic Pictures Corp.. 35mm. D.: 117’. Technicolor.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Capitolo finale (dopo Io ti salverò e Notorious) della ‘trilogia’ che Hitchcock costruisce intorno a Ingrid Bergman, o per dirla con Rohmer-Chabrol intorno al viso di lei, un viso che l’obiettivo “scruta, esplora, a volte incide, altre addolcisce”. Tutt’intorno, a quanto pare, è l’inferno. Come già in Nodo alla gola, in Under Capricorn Hitchcock sperimenta il long take, la lunga ripresa (qui, sei-otto minuti) senza stacchi: scenografie e costumi rendono l’impresa titanica e snervante, il set è un labirinto di pareti che si spostano, tavoli e canapé con le ruote, carrelli ed elettricisti che vagano con i fari applicati sulla fronte. In effetti Michael Wilding, anche nei momenti più intensi, ha sempre l’aria di qualcuno che ha appena visto, nell’immediato fuoricampo, qualcosa di vagamente comico.
È un film d’ispirazione romantica e romanzesca, il peccato d’una donna, il sacrificio di un uomo, il senso di colpa, la confessione, la catarsi, la legge morale che ci stringe tutti in pugno e conduce un Cime tempestose degli antipodi verso un lieto fine improbabile e un poco mesto. È un film di classici luoghi hitchcockiani, la governante perfida come in Rebecca, l’avvelenamento dell’eroina come in Notorious (“certo, se a scriverlo insieme a me avessi avuto uno bravo come Ben Hecht, sarebbe stata un’altra cosa”,  confessò Hitchcock a Truffaut). È certamente un film sul viso di Ingrid, del quale Hitchcock sa esaltare la qualità malleabile e luminosa come nessun altro (nemmeno l’uomo di cui lei proprio in questi mesi si sta innamorando): la scena più bella è quella in cui una mano galante stende una giacca scura dietro un vetro, perché lei possa vedervi il proprio riflesso dorato, che l’infelicità non ha corrotto. È il film che Hitchcock considerò la propria peggior catastrofe, un peccato di presunzione costato una montagna di dollari che furono persi per sempre. È uno straordinario film a colori, “uno dei Technicolor più belli della storia del cinema” (Lourcelles): una patina lucente e lievemente livida si stende su tutto, perché questa è una storia di passioni logorate o destinate alla rinuncia o che solo il ricordo monologante e febbrile può tentare (fallendo) di far rivivere. C’è molto cielo, nelle prime e nelle ultime sequenze, un cielo di un meraviglioso color ceruleo sulla baia della piccola città di Sidney del 1831. Hitchcock si sofferma a contemplarlo, forse già chiedendosi che cosa ci si può fare con tanto cielo, magari solcarlo con la campata rossa del Golden Gate o con l’ala nera di un uccello.

Paola Cristalli

Copia proveniente da

per concessione di Constellation Center Collection.
Copia originale 35mm Technicolor.