UMARETE WA MITA KEREDO…

Yasujiro Ozu

S.: da un racconto di James Maki (Y. Ozu). F.: Hideo Mohara, Yuharu Atsuta, Masao Irie, Toshiitsu Nakajima. Scgf.: Takejiro Kadota, Yoshiro Kimura. M.: Hideo Mohara. In.: Tatsuo Saito (Yoshii), Mitsuko Yoshikawa (sua moglie), Hideo Sugawara (il figlio maggiore), Tokkan Kozo (il figlio minore), Takeshi Sakamoto (Iwasaki), Teruyo Hayami (la signora Iwasaki), Seiki Kato (Taro). P.: Shochiku Kamata. 35mm. L.: 2493m.D.: 91’ a 24 f/s.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

“Generalmente considerato come il primo capolavoro di Ozu, è senz’altro fra i primi film del maestro che sono giunti fino a noi, quello in cui si nota lo stile più definito. L’uso magistrale del registro comico (specialmente in quella scena gustosa in cui i due fratelli giocano assieme) e il montaggio accuratamente calcolato, donano al film un rigore notevole. La macchina da presa posta in basso e l’uso della profondità di campo, caratteristiche del cinema di Ozu, danno l’illusione che gli oggetti e i corpi planino da differenti parti dello spazio.

In Umarete wa mita keredo…, tutta questa maestria artistica è al servizio di un tema piuttosto didattico. Come indica il sottotitolo (Libro illustrato per adulti) si tratta di un film a tesi, una sorta di lezione sull’uso sociale del potere. A mano a mano che i suoi figli scalano la gerarchia della gang del quartiere, il padre svela il suo stato di sottomissione sul lavoro. Nel mondo dei ragazzi, il potere è distribuito in base all’età, all’intelligenza e alla forza fisica. Loro non riescono a comprendere che il potere degli adulti è un fatto implacabilmente sociale, vale a dire che dipende dalla ricchezza e dalla posizione sociale. Giunti a prendere il controllo della banda, dopo aver lottato vittoriosamente contro gli altri, i fratelli si immaginano che il potere si possa ottenere mostrando semplicemente e onestamente ciò di cui si è capaci.

Come sua abitudine, Ozu fa risultare l’evoluzione delle situazioni dallo sfruttamento di fatti paralleli: due visite a casa del padrone, due tragitti verso la scuola, due fermate di fronte al passaggio a livello, due mangiate di uova di piccione, ecc… Ogni scena rimanda ad un’altra con cui forma una specie di contrappunto. Alcune comparazioni si manifestano attraverso movimenti laterali della macchina da presa che mettono direttamente in parallelo l’universo della scuola e quello degli uffici, mostrando prima dei ragazzi che fanno degli esercizi e poi degli impiegati in preda alla noia.

Ozu mantiene in delicato equilibrio il punto di vista dei ragazzi e quello degli adulti. La maggior parte del racconto è limitata a ciò che sanno i ragazzi, tanto che, per esempio, noi partecipiamo alla sorpresa dei figli quando Yoshii li segue fino a scuola. Questa limitazione del punto di vista è particolarmente efficace quando i bambini scoprono le scappatelle che Yoshii fa per il film di Iwasaki. Intanto, dopo il litigio fra il padre e i figli, il racconto prende risolutamente il mondo degli adulti come punto di riferimento. Quando i figli si sono addormentati, il padre tira fuori la sua bottiglia di whisky e si scola il suo bicchierino. Per la prima volta nel film, si vedono i genitori soli mentre parlano della loro vita. Yoshii, che conoscevamo pragmatico e sicuro di sé, passa a vergognarsi e ad autogiustificarsi. I genitori guardano assieme i loro bambini e si domandano se avranno la stessa vita miserabile che hanno avuto loro. Dopo aver rigorosamente limitato il punto di vista a quello dei figli, questa rivelazione progressiva delle abitudini e dei dubbi di Yoshii, colloca il personaggio del padre in una prospettiva più ampia. Se Yoshii scatta sull’attenti davanti ai suoi superiori è perché non può fare diversamente”.

(David Bordwell, Les cahiers du muet, n. 23, 1993)

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