TWELVE O’CLOCK HIGH

Henry King

Sog.: dal romanzo omonimo (1948) di Sy Bartlett e Beirne Lay Jr. Scen.: Sy Bartlett, Beirne Lay Jr. F.: Leon Shamroy. M.: Barbara McLean. Scgf.: Lyle R. Wheeler, Maurice Ransford. Mus.: Alfred Newman. Int.: Gregory Peck (generale Frank Savage), Hugh Marlowe (tenente colonnello Ben Gately), Gary Merrill (colonnello Davenport), Millard Mitchell (generale Pritchard), Dean Jagger (maggiore Stovall), Robert Arthur (sergente McIllhenny), Paul Stewart (capitano ‘Doc’ Kaiser), John Kellogg (maggiore Cobb), Robert Patten (tenente Bishop). Prod.: Darryl F. Zanuck per Twentieth Century-Fox Film Corp.. 35mm. D.: 132’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

I film di King con Gregory Peck propongono una critica dell’ultra-mascolinità in condizioni avverse. Peck aggiunge una dimensione ulteriore a queste avventure. Mentre il primo film d’aviazione di King, A Yank in the RAF (1941), era ben poco interessante, questo segna l’apice della sua carriera. Magistrale riflessione sull’attitudine al comando, le regole e la responsabilità, si snoda mettendo in discussione ciascuno di questi principi e si conclude in maniera ambigua e cupa. Narrato con la tecnica del flashback dal punto di vista di un maggiore (Dean Jagger, nel ruolo della sua vita), si svolge in un campo di volo inglese dal quale l’aviazione statunitense compie la sua prima serie di bombardamenti di precisione su obiettivi europei sotto il comando del coriaceo e inflessibile generale Savage (Peck). È un film di guerra con una sola scena di combattimento, realizzata attingendo per lo più a materiali d’archivio. Il conflitto non è particolarmente visibile o udibile. Il suo spietato bilancio sta tutto nei gesti, nelle parole inespresse, nel sudore sulla fronte di uomini balbettanti. Nessun altro film di finzione ha saputo tradurre con tanta precisione la guerra nel comportamento nevrotico di soldati sofferenti.
In questo film, uno dei più grandi mai realizzati, King esplora la linea sottile che separa il suicidio dall’eroismo, dove espressioni come ‘massimo sforzo bellico’ e ‘integrità del gruppo’ perdono ogni significato. Riappare il vecchio conflitto ‘kinghiano’ tra cuore e dovere: il comandante precedente ha fallito perché per lui le vite dei suoi uomini contavano più del successo della missione, mentre il nuovo comandante (Peck) decide di tenere sottochiave i suoi sentimenti. Riuscirà a ristabilire un equilibrio in quel mondo (il dovere è compiuto, gli uomini sono salvi), ma perderà il proprio. La tensione lo distrugge. Alla fine, sfiancato e a pezzi, giace sul letto come un gigante sconfitto. In King non c’è eroe che esca di scena senza piegare la schiena sotto il peso delle circostanze. Maggiore è l’ordine che si instaura, più l’anima si incrina: a questo proposito Peter von Bagh ha parlato di microcosmo e financo di profezia del futuro del mondo.

Ehsan Khoshbakht

Copia proveniente da

Per concessione di Park Circus