TONI
Scen.: Jean Renoir, Carl Einstein. F.: Claude Renoir. M.: Marguerite Renoir, Suzanne de Troeye. Scgf.: Léon Bourrely. Mus.: Paul Bozzi. Ass. regia: Luchino Visconti. Int.: Charles Blavette (Antonio ‘Toni’ Canova), Jenny Hélia (Marie), Célia Montalvan (Josépha), Edouard Delmont (Fernand), Max Dalban (Albert), Andrex (Gaby), Michel Kovachevitch (Sébastian), Paul Bozzi (chitarrista). Prod.: Marcel Pagnol per Films d’aujourd’hui. DCP 4K. D.: 84’. Bn.
Scheda Film
Jean Renoir fu un vero innovatore, più volte capace di creare nuovi tipi di film. Un esempio supremo è rappresentato da Toni, ispirato dall’amicizia e dalla comunanza di idee con Cartier-Bresson e dalla consapevolezza di girare in un certo senso “un documentario sugli attori”. Renoir era dieci anni avanti rispetto alla sua epoca, e oggi vedere Toni è una rivelazione: il neorealismo nasce qui.
Basato su un fatto di cronaca riferito dal commissario di polizia di Martigues, pur narrando la tragedia dei lavoratori immigrati, Toni è un film ottimista, perché contempla nuovi modelli di convivenza per una comunità multinazionale che potrà così creare “una nuova vita sotto altre stelle”. Toni presenta un’intuizione fondamentale della dialettica tra nazionale e internazionale: il vero internazionalismo può nascere solo da una profonda comprensione e presa d’atto dei tratti caratteristici di ogni nazionalità. Renoir avrebbe presto sviluppato questa idea in La grande illusione.
Uno dei film più ‘musicali’ di Renoir, con la sua tematica amorosa Toni mette in luce uno schema familiare di relazioni e sviluppa in dimensioni filosofiche un arco narrativo che abbraccia l’amicizia, l’amore, la gelosia e la morte causata dal malinteso, materia poi rielaborata in La Règle du jeu.
Nel suo articolo “Toni” et le classicisme (“Cahiers du Cinéma 60”, 1956) Renoir scrisse che i grandi successi del cinema francese contemporaneo si basavano sull’imitazione del teatro di boulevard con la loro gestualità eccessiva. “Era normale che volessi opporre a simili artifici la rappresentazione di un fatto di cronaca nel suo ambiente autentico. […] Sarei felice se riusciste a intuire almeno un po’ del mio grande amore per la comunità mediterranea di cui Martigues è un concentrato. Quei lavoratori di origini e lingue diverse, venuti in Francia alla ricerca di una vita migliore, sono gli eredi più autentici della civiltà greco-romana che ha fatto di noi ciò che siamo.
[…] Tutto era stato pensato in modo tale che il risultato si avvicinasse il più possibile al documentario. Era nostra ambizione dare al pubblico l’impressione che una macchina da presa invisibile avesse filmato le fasi di un conflitto senza che gli esseri umani inconsciamente coinvolti nell’azione ne fossero essi stessi consapevoli. Non ero probabilmente il primo a tentare una simile avventura, e neanche l’ultimo. In seguito il neorealismo italiano avrebbe spinto questo metodo alla perfezione”.
Peter von Bagh, Elokuvan historia [History of the Cinema] (1975/2004), traduzione di Antti Alanen