THE WILD ONE

Laszlo Benedek

Sog.: dal racconto The Cyclists’ Raid di Frank Rooney. Scen.: John Paxton. F.: Hal Mohr. M.: Al Clark. Scgf.: Walter Holscher. Mus.: Leith Stevens. Int.: Marlon Brando (Johnny), Mary Murphy (Kathie), Robert Keith (Harry Bleeker), Lee Marvin (Chino), Jay C. Flippen (sceriffo Singer), Peggy Maley (Mildred), Hugh Sanders (Charlie Thomas), Ray Teal (Frank Bleeker), John Brown (Bill Hannegan), Will Wright (Art Kleiner). Prod.: Stanley Kramer Pictures Corp.. DCP. D.: 79’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

La differenza con tutto quello che il cinema ha fatto su questo argomento prima del Selvaggio è davvero enorme. Non che fossero mancati in passato film sulle bande di adolescenti. […] Ma tutti insistevano sulle cause sociali del ‘disadattamento’ e sulla democratica possibilità di superarle.
Quei ribelli avevano se non una causa almeno dei motivi sociali precisamente individuabili per ribellarsi. Con gli anni Cinquanta si assiste a un fenomeno del tutto diverso. La ribellione giovanile è without a cause, come il titolo originale di Gioventù bruciata reciterà meno di due anni dopo II selvaggio. E le sue radici sono più generazionali e psicologiche che non sociali. […] Benedek pone per primo l’accento su connotazioni nuove della rivolta: l’interclassismo generazionale, l’assenza di obiettivi, il rischio che ne consegue di una violenza del tutto gratuita e fine a se stessa […]. Con tutti i suoi limiti II selvaggio è davvero un film ‘capofila’, che ha agito nel tempo più che nell’immediato ma che è entrato a far parte di un immaginario collettivo internazionale come pochi altri. […]
E Brando? Quando II selvaggio uscì in Inghilterra nel 1968, Raymond Durgnat, uno dei migliori critici inglesi, scrisse che “lo stile stridente di Brando ha una potenza che non è datata, e le parzialmente datate ‘associazioni’ del metodo non fanno che intensificare l’atmosfera di una causa persa, di un’anima persa […]”. Presenza fisica immediata e centrale sin da quando compare nella prima scena del film (una strada su cui lentamente avanzano rombando i Black Rebels, Johnny in testa) la sua immagine è definita nella sua novità ed estraneità: la moto, il cuoio, la t-shirt col bordo del collo nero, gli occhialoni scuri, il berrettone sportivo e l’espressione impassibile, da vero duro. Leader della sua banda, ne è anche la presenza più massiccia. Alla sguaiataggine degli altri replica con un silenzio musone. È nelle scene con Kathie che rivela tutta la sua fragilità. Girate, le principali, con dialoghi per buona parte improvvisati, mai come in esse è stato così mumbling, borbottante, per l’incapacità di esprimere ciò che sente. È il borbottio ed è lo sguardo a definirne l’anima – la difficoltà profonda a capire e quella a tradurre in parole ciò che arriva a capire di sé.

Goffredo Fofi

Copia proveniente da

Per concessione di Park Circus