THE TRUE STORY OF LILI MARLENE
Scen.: Humphrey Jennings; F.: H. E. Fowle; M.: Sid Stone; Mu.: Denis Blood; Canzone: “Lili Marlene” di Norbert Schultze (musica), Hans Leip (parole); Scgf.: Edward Carrick; Su.: Ken Cameron; Int.: Lucie Mannheim (se stessa), Marius Goring (se stesso), Pat Hughes (Lale Andersen), Denis Johnston (se stesso), Werner Alvensleben, Charles Kormos, Humphrey Jennings (Hans Leip); Prod.: J. B. Holmes per Crown Film Unit 35mm. D.: 30’. Bn.
Scheda Film
Malinconica e toccante, la canzone “Lili Marlene”, composta da Norbert Schultze nel 1938 su un testo di Hans Leip, fu protagonista di un enorme quanto bizzarro caso di successo durante la Seconda guerra mondiale. Furono alcuni ingegneri radiofonici tedeschi a registrarne per primi una popolare versione a cui prestava la voce la cantante svedese Lale Andersen. Le truppe degli Afrika Korps, che la sentivano nel deserto, subito trovarono conforto in quelle parole che esprimevano nostalgia verso una patria lontana. Anche gli inglesi, poi vincitori in nord Africa, avevano apprezzato quella canzone, tanto da prenderla e trasformarla in un’arma di propaganda per la Gran Bretagna. La storia di Lale Andersen e della sua canzone fornì a Jennings lo spunto per il suo film di guerra forse più bizzarro. L’abilità del regista nella tecnica del collage, così evidente in film come Listen to Britain, qui è meno evidente: ci muoviamo, affascinati quanto disorientati, in un’accozzaglia di dichiarazioni dirette verso la macchina da presa, materiali d’archivio, e scontate invenzioni girate in studio. In una di queste si vede Jennings nei panni dell’autore che ad Amburgo siede alla macchina da scrivere e compone le parole della canzone; mentre l’ultima scena fa un salto in un futuro post-bellico con una ripresa poetica che si muove tra le bancarelle di un mercato dominato da cameratismo e frutta. Tutto è sconcertante. Ma considerati i numerosi scopi propagandistici che si celano dietro la storia di Lili Marlene (la celebrazione dell’Ottava Armata inglese, la felicità per i successi russi a est, e la speranza di poter almeno parlare della fine della guerra) forse questa accozzaglia era l’unica soluzione possibile.
Geoff Brown