THE THIEF OF BAGDAD
S.: da un racconto di Edward Knowblock. Sc.: Elton Thomas (Douglas Fairbanks). F.: Arthur Edeson. Scgf.: William Cameron Menzies. M.: William Nolan. C.: Mitchell Leisen. E.S.: Hampton Del Ruth. In.: Douglas Fairbanks (ladro), Julanne Johnston (principessa), Anna May Wong (schiava mongola), Snitz Edwards (l’aiutante del ladro), Charles Belcher (il santone), Sojin (principe mongolo), K. Nambu (il suo consigliere), Sadakichi Hartman (il suo mago di corte), Winter-Blossom (Schiava che suona il liuto), Brandon Hurst (il Califfo), Etta Lee, Tote Du Crow, Noble Johnson, Mathilde Comont, Charles Stevens, Sam Baker, Jess Weldon, Scotty Mattraw, Charles Sylvester. P.: Fairbanks/United Artists. 35mm. L.: 3227m. D.:140’ a 20 f/s.
Scheda Film
“Robin Hood costò ben più di un milione di dollari, ma i suoi utili furono abbastanza consistenti da incoraggiare Fairbanks a realizzare The Thief of Bagdad (1924). Secondo Cooke, Fairbanks questa volta è ‘un giovanotto grottescamente sepolto in un museo del costume’; e altri critici sono dello stesso parere. Se il giudizio è applicato all’attore stesso (oltre al fatto di essere in disaccordo con la sua definizione di ‘giovanotto’, dato che aveva ormai quarantun’anni), i suoi costumi rivelano quanto basta a sorprenderci ancora. In effetti The Thief of Bagdad appare oggi uno dei migliori e più riusciti film di Fairbanks, certamente uno dei meno datati. Con assoluta consapevolezza egli si pone all’interno di giganteschi scenari – la Grotta del Fuoco, per esempio, o la battaglia contro il drago – nei quali la sua minuscola figura rimane sempre il fulcro dell’azione. Nessuna distanza riesce a sminuire l’indomabile vitalità della sua inconfondibile figura”.
(David Robinson, L’eroe, cit.)
“Le scene di The Thief of Bagdad erano firmate da William Cameron Menzies. Egli aveva iniziato a lavorare per il cinema nel 1918 con George Fitzmaurice, collaborando poi a quattro film di Raoul Walsh, ma fu il suo lavoro per Rosita di Lubitsch (1923), in cui aveva ‘ricostruito’ Siviglia, a renderlo celebre. I costumi furono invece opera di Mitchell Leisen – anch’egli architetto e scenografo (The Ten Commandments di Cecil B. de Mille, 1923).
Secondo la maggior parte dei commenti con cui venne accolta l’uscita del film, le sue scenografie rinnovavano il genere. A causa della loro monumentalità senza precedenti, o per ragioni stilistiche? Se negli Stati Uniti ci si dimostra in genere più colpiti dai trucchi del film che dalle sue scenografie, in Francia si insiste soprattutto sull’importanza di queste ultime. Maurice Cohen, corrispondente a Hollywood di Cinéa-Ciné pour Tous, parla di una ‘vera originalità’ delle scenografie: ‘Non si può fare a meno, se si è appena arrivati dalla Francia, di restare stupiti di fronte allo splendore, allo stile, alla precisione, alla ricercatezza nei minimi dettagli, alla bellezza, alla ricchezza delle scenografie che si possono effettivamente vedere negli studi di Douglas Fairbanks’. Qualche numero dopo la rivista, in occasione dell’uscita del film in Francia (che ne costituisce la copertina), pubblica un articolo di Fairbanks, intitolato La raison d’être des grands décors, in cui il cineasta insiste non tanto sul loro gigantismo, quanto piuttosto sulla loro strumentalità”.
(François Albera, L’orientalismo delle scenografie in ‘The Thief of Bagdad’, Cinegrafie, n. 12, 1998)