THE SINGLE STANDARD
R.: John S.Robertson. S.e Sc.: Josephine Lovett, da un romanzo di Adela Rogers St. Johns. F.: Oliver T. Marsh. M.: Blanche Sewell. In.: Greta Garbo (Arden Stuart), Nils Asther (Packy Cannon), John Mack Brown (Tommy Hewlett), Dorothy Sebastian (Mercedes), Lane Chandler (Ding Stuart), Robert Castle (Anthony Kendall), Mahlon Hamilton (Mr. Glendenning), Kathlyn Williams (Mrs. Glendenning), Joel Mc Crea (Blythe). P.: Metro-Goldwyn-Mayer. L.: 1980 m., D.: 71’ a 24 f/s.
Scheda Film
“The Single Standard ha uno svolgimento che tradisce la libertà ironica delle premesse, e lo stesso titolo: Garbo rientra infine nello standard più classico, rinuncia alla passione senza farsene consumare e accettando di essere una Karenina più opaca e meno tragica. Questo scarto maldestro tra premesse ed esito è probabilmente governato da ragioni censorie, e forse ha ragione Richard Corliss quando sostiene che nel momento in cui Garbo deve scegliere tra fuggire con l’amante che l’aveva abbandonata ed ora è tornato, e restare accanto al marito e al figlio bambino, in realtà è Hays a fare la scelta. Ma come sempre, pur dentro una struttura così povera e malferma, Garbo riesce ad impadronirsi di alcuni momenti memorabili. C’è una desolazione inedita, fatta anche di furia e di cupa incredulità, nel suo reagire al vago Nils Asther che le annuncia, senza motivo apparente, che è stato bello finché è durato, ma la loro relazione deve finire; c’è un’ansia palpabile nel suo aggirarsi ferita dentro la cabina dello yacht, mentre la macchina da presa trattiene e segue a fatica i suoi movimenti. Soprattutto però restano nella memoria le scene all’aperto sul mare, nel sole, lei giovane tra le braccia dell’uomo che ama, lo scotto da pagare ancora lontano: commuovono perché sono le ultime immagini di libertà erotica a cui Garbo avrà accesso, prima del suo ultimo film muto, e prima dei più stilizzati, desessualizzati film degli anni Trenta”.
Paola Cristalli, Cinegrafie, n. 10, 1997
“L’illusione che il longilineo, efebico svedese Nils Asther potesse diventare un altro eroe romantico dello schermo durò ben poco. Anche se dimostrò una raffinata eleganza, non disgiunta da una sottile vena di perfidia (si pensi al successivo Amaro té del generale Yen), fu presto confinato nei ruoli di vilain in film sempre più marginali”.
Vittorio Martinelli