THE ROBE
T. it.: “La tunica”; Scen.: Albert Maltz, Philip Dunne e Gina Kaus, tratto dalla novella di Lloyd C. Douglas; F.: Leon Shamroy; M.: Barbara McLean; Scgf.: Lyle Wheeler, George W. Davis; Cost.: Emile Santiago (non accr.); Trucco: Ben Nye; Mu.: Alfred Newman; Su.: Bernard Freericks, Roger Heman Jr.; Effetti speciali: Ray Kellogg; Ass. R.: Tom Connors Jr.; Int.: Richard Burton (Marcello Gallio), Jean Simmons (Diana), Victor Mature (Demetrio), Michael Rennie (Pietro), Richard Boone (Pilato), Dean Jagger (Justus), Jay Robinson (Caligola), Torin Thatcher (senatore Gallio), Betta St. John (Miriam), Hayden Rorke (Calvus), Jeff Morrow (Paolo), Ernest Thesiger (Tiberio), Dawn Addams (Junia), Leon Askin (Abidor), Helen Beverly (Rebecca), Michael Ansara (Giuda), Ben Astar (Cleandro), Jean Corbett, Joan Corbett, Gloria Saunders (schiave), Sally Corner (Cornelia), Leo Curley (Shalum), Percy Helton (Caleb), Thomas Browne Henry (Mario), Rosalind Ivan (Giulia), Donald C. Klune (Gesù), Francis Pierlot (Dodinio), Peter Reynolds (Lucio), Pamela Robinson (Lucia), Harry Shearer (Davide), George E. Stone (Gracco); Prod: 20th Century Fox; 35mm. D.: 135’.
Scheda Film
Esagero un po’: The Robe è una buona dimostrazione di come il CinemaScope autorizzi ogni scelta e allo stesso tempo non richieda neanche troppi sforzi: Henry Koster cambia inquadratura e decide i movimenti di macchina secondo la sua prassi abituale, senza commettere grosse imprecisioni, si imbatte persino in piacevoli imprevisti, in successi inattesi; mille dettagli, mille astuzie di cui ci si stancherà presto, ma che dimostrano anche che non ci si fermerà a questo punto; sarà necessario, alla fine, intraprendere una ricerca verso una nuova ampiezza di gesti e atteggiamenti: un’ampiezza, soprattutto, del gesto contemporaneo, che assumerà rilievo su questo sfondo piatto. Il regista imparerà a rivendicare, a volte, l’intera superficie dello schermo, ad animarla con la sua personalità, a imbastirvi un gioco multiplo e serrato o, al contrario, a distanziare i poli del dramma, a creare delle zone di silenzio, delle superfici di riposo o delle interruzioni provocatorie, delle rotture sapienti; stanco di vasi e candelabri inseriti a margini dell’immagine in nome dell’equilibrio dei piani ravvicinati, scoprirà la bellezza dei vuoti, degli spazi aperti e liberi, attraversati dal vento, saprà sgombrare l’immagine, senza più temere né buchi né squilibri, per obbedire alle verità del cinema.
Jacques Rivette, in “Cahiers du cinéma”, n. 31, 1954