THE RECKLESS MOMENT

Max Opuls [Ophuls]


T. it.: “Sgomento”; Scen.: Henry Garson, Robert W. Soderberg; Adattamento: Mel Dinelli, Robert E. Kent, da “The Blank Wall” di Elisabeth Sanxay Holding; F.: Burnett Guffey; Op.: Gert Andersen (non accr.); M.: Gene Havlick; Scgf.: Cary Odell; Cost.: Jean Louis; Su.: Russell Malmgren; Ass. R.: Earl Bellamy; Int.: James Mason (Martin Donnelly), Joan Bennett (Lucia Harper), Geraldine Brooks (Bea Harper), Henry O’Neill (Tom Harper), Shepperd Strudwick (Ted Darby), David Bair (David Harper), Roy Roberts (Nagel), Jessie Arnold; Prod.: Columbia Pictures Corporation; 35 mm. D.: 82’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Quando un regista profondamente personale come Max Ophuls si trova a occuparsi di un film di genere con un soggetto contemporaneo (occasione che gli si sarebbe ripresentata un anno dopo con Caught), e lo fa utilizzando tutta la libertà stilistica e l’ispirazione che lo contraddistinguono (sebbene l’unione di noir e melodramma non fosse nuova a quei tempi, la rielaborazione che ne fa Ophuls è unica), la sensazione che si prova è quella di vedere anche le cose a noi più familiari come se fosse la prima volta. La casa, con i suoi segreti nascosti dietro ogni porta, appare trasparente come solo i film e le mise-en-scène più riuscite riescono a mostrare. Ciò che ci trasmette è una dura rappresentazione della vita quotidiana. Ophuls mantiene uno sguardo naturale, offrendoci al tempo stesso una creazione magica, quanto quella dei suoi sgargianti film storici. Così come quando si addentra nelle falsità della storia e nella felicità fittizia fin- de-siècle, anche in questo film tutto sembra una facciata, un set, una vita che riconosciamo nelle parole dello stesso Ophuls quando parla di Madame de…: “Questa non è vita, è esistenza. Ancora meno: è non-esistenza […]. In realtà, questo film dovrebbe essere, indirettamente, molto amaro, e mille volte più profondo dell’aneddoto da cui trae spunto”. Sono bastati cinque anni per trasformare “la fortezza inespugnabile del focolare americano” (come veniva definita in Since You Went Away di Selznick, nel 1943) in una casa di ombre, e la vita in una farsa teatrale, in una serie di menzogne. Vengono contrapposte due coppie: una corrisponde al paradigma della vita americana, del matrimonio; l’altra, con uno sviluppo anomalo e inaspettato, prende forma quando un ricattatore si mette in contatto con la moglie. In un certo senso, la loro relazione diventa improvvisamente e rapidamente l’unica espressione possibile della vita reale. Il clima degli anni ’40 può essere percepito sullo sfondo, soprattutto attraverso il personaggio chiave del padre, che però non viene mai mostrato direttamente (la Cinemateca Portuguesa ha recentemente dedicato una rassegna proprio a questi “protagonistas ausentes”). Al centro viene a trovarsi una famiglia logorata, una sorta di entità innaturale che deve continuare a comportarsi e ad apparire in modo naturale, soprattutto per effetto di questa “assenza”. Ma la ritualità della vita quotidiana e il bisogno pressante di difenderla, di apparire normali e rispettabili, vengono sopraffatti da un senso di oscurità e di minaccia incombente. Anche se in realtà non succede nulla, sono la mentalità e una cultura repressiva a fare il resto. L’ambientazione semplice ed essenziale sembra fatta per essere pervasa da una presenza noir indefinibile e sovvertitrice, che alla fine ovviamente si manifesta, insinuandosi nelle fondamenta della routine familiare e sovvertendole. Ophuls rappresenta questa vita come una prigione, fondata interamente sul denaro e sui beni materiali. Le emozioni sono solo una messinscena, e non trovano modo di esprimersi, né ora né probabilmente mai, a meno che non si tratti di sentimenti non corrisposti o che si manifestano soltanto in brevi momenti: come avviene per la relazione tra il ricattatore (James Mason) e la moglie (Joan Bennett), due persone sole, legate da un rapporto che sembra dapprima crudele e poi intenso, con una enorme dolcezza repressa segnata dall’inevitabilità della rovina. Ciò che rende The Reckless Moment ancora più straziante e indimenticabile è in parte merito dell’interazione tra due attori straordinari: un compassato James Mason (la cui interpretazione della megalomania in Bigger than Life costituirà un altro momento importante di questa settimana di festival, e che ha lavorato ancora con Ophuls in Caught), e Joan Bennett, che dà vita a una delle incarnazioni della donna di casa più intense, controllate e a doppia faccia di tutta la storia del cinema. Se si pensa ai ruoli che ha interpretato per Ophuls, Lang e Renoir, Joan Bennett è stata certamente una delle attrici più brillanti e sottovalutate del suo tempo.

Peter von Bagh

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