THE MAN WHO KNEW TOO MUCH
Sog.: Charles Bennett, D.B. Wyndham-Lewis. Scen.: Edwin Greenwood, A.R. Rawlinson, Emlyn Williams. F.: Curt Courant. M.: H.St.C. Stewart. Scgf.: Alfred Junge, Peter Proud. Mus.: Arthur Benjamin. Int.: Leslie Banks (Bob Lawrence), Edna Best (Jill Lawrence), Nova Pilbeam (Betty Lawrence), Peter Lorre (Abbott), Hugh Wakefield (Clive), Pierre Fresnay (Louis Bernard), George Curzon (Gibson), Frank Vosper (Ramon), Cicely Oates (l’infermiera Agnes), D.A. Clarke-Smith (Binstead). Prod.: Michael Balcon, Ivor Montagu per Gaumont British Pictures – 35mm. D.: 75’. Bn.
Scheda Film
“Non parlo abbastanza bene l’inglese, non saprei che dire”, dice Peter Lorre nella sua seconda battuta di dialogo nella prima versione di The Man Who Knew Too Much di Hitchcock. È un momento di ironia autoreferenziale, trattandosi del primo film in inglese dell’attore rifugiatosi a Londra. Lorre, che non sapeva una parola d’inglese, dovette memorizzare le sue battute basandosi sulla trascrizione fonetica. Il grande attore sapeva troppo, ma non era ancora in grado di esprimerlo in inglese. Una sigaretta che gli pende dalle labbra come un leccalecca, la profonda cicatrice che gli solca la fronte e una frangetta di capelli unti e striati di bianco, Lorre sembra un arcinemico da fumetto ma è allo stesso tempo perverso e vulnerabile (riferisce tutto alla sua infermiera, classica ‘figura materna’ alla Hitchcock).
Archetipo dei film hitchcockiani di fuga e inseguimento, The Man Who Knew Too Much ruota attorno al rapimento della figlia di una coppia inglese. Mentre marito e moglie tentano di salvare la ragazza da una banda di spie, lo spettatore è catapultato in una girandola di scene bizzarre e divertenti ambientate in Svizzera, a Wapping nell’East London e infine all’interno della Royal Albert Hall, il tutto ricreato negli studios londinesi di Shepherd’s Bush. Per quanto le situazioni siano irrazionali, la trama scorre irresistibile; ogni scena sembra possedere un senso che evapora prima di poter essere colto, mentre il film balza all’assurda situazione successiva. Hitch prova un piacere perverso nel disattendere ogni continuità di senso.
Il regista rifece il film negli Stati Uniti nel 1956, ma nemmeno quella versione perfezionata riuscì a eguagliare la leggendaria scena del concerto alla Royal Albert Hall, dove il colpo d’arma da fuoco dell’assassino è sincronizzato con i colpi dei piatti. Con il suo sguardo incisivo, la minacciosa presenza del coro e l’intensa soggettività delle inquadrature in cui le lacrime offuscano la visione di Edna Best, questo è uno dei migliori pezzi di bravura di Hitchcock. Come negli altri suoi film per la Gaumont British Pictures, è tangibile il senso di ansia dovuto al clima politico europeo del tempo. Il numero di esuli tedeschi sul set – oltre a Lorre c’erano il direttore della fotografia Curt Courant e lo scenografo Alfred Junge – attesta la consapevolezza della crescente inquietudine mondiale.
Ehsan Khoshbakht