THE GREAT FLOOD
Mus.: Bill Frisell. Prod.: Phyllis Oyama. DCP. D.: 80’.
Scheda Film
Probabilmente non è il tipo di complimento da rivolgere a un regista quando il suo film è appena uscito in sala, ma The Great Flood, splendido viaggio nella grande alluvione del Mississippi del 1927, richiederebbe quasi di essere apprezzato con cuffie di alta qualità. La colonna sonora è infatti un’opera d’arte a se stante, e andrebbe assaporata come si fa con le ottime incisioni.
Questo film non parlato, un documentario che è soprattutto una forma di poesia visiva, è opera di Bill Morrison, che come per il precedente The Miners’ Hymns ha lavorato su vecchi cinegiornali e altri materiali d’archivio. Qui il regista si avvale della collaborazione del chitarrista e compositore Bill Frisell, la cui musica (eseguita da Frisell, Ron Miles, Tony Scherr e Kenny Wollesen) si fonde con le immagini in maniera così evocativa da dare l’impressione di essere nata insieme a esse.
L’alluvione fu devastante, soprattutto per quel che restava dell’economia del Delta del Mississippi fondata sulla mezzadria, tanto da incidere sulla demografia del paese intensificando la migrazione verso nord dei neri. Disseminando qua e là qualche breve testo, Morrison descrive la distruzione e le sue conseguenze: ma è parco di dettagli, tanto che gli spettatori potrebbero trovare utile raccogliere almeno qualche informazione sommaria sulla catastrofe per meglio prepararsi alla visione.
Il film e la colonna sonora di Frisell hanno un tono complessivamente elegiaco, ma nell’afflizione di questo viaggio non mancano scintille di umorismo: una rapida scorsa di un catalogo Sears dell’epoca; le immagini delle autorità in visita alle zone del disastro per farsi fotografare, proprio come farebbero oggi.
Il curriculum di Morrison comprende un film tutto incentrato sul decadimento della pellicola fotografica (Decasia), e l’interesse per il fenomeno è evidente anche in The Great Flood, nel quale sono presenti frammenti di film che iniziano a deteriorarsi e che il regista sceglie di lasciare tali e quali. La musica di Frisell sembra anzi convocare i difetti come un moderno effetto digitale. È un tocco sublime e stranamente inquietante in uno straordinario esperimento musicale e cinematografico.
Neil Genzlinger, Recalling a Disaster Without Uttering a Word, “The New York Times”, 7 gennaio 2014