The First Born
Sog.: dal romanzo Oasis e dall’opera teatrale Those Common People di Miles Mander. Scen.: Alma Reville, Miles Mander. F.: Walter Blakeley. Mo.: Arthur Tavares. Scgf.: Wilfred Arnold. Int.: Miles Mander (Sir Hugo Boycott), Madeleine Carroll (Madeleine Boycott), John Loder (David, Lord Harborough), Ella Atherton (Nina de Landé), Margot Armand (Sylvia Finlay), Ivo Dawson (Derek Finlay), Margaret Roach (Phoebe Chivers), John St. John (Dickie), Naomi Jacob (Dot), Bernard Vaughan (maggiordomo), Walter Wichelow (Mr Impitt), Theodore Mander (Stephen), Beryl Egerton (domestica). Prod.: Gainsborough Pictures 35mm. L.: 2213 m. D.: 88’ a 22 f/s. Bn.
Scheda Film
Adattamento di Miles Mander da un suo romanzo e opera teatrale, The First Born descrive l’ipocrisia dei ceti alti e la tensione tra conformismo e una morale più moderna attraverso il rapporto tra Sir Hugo Boycott (Mander) e la sua giovane sposa Madeleine, interpretata con sensibilità da una Madeleine Carroll ancora bruna. Dapprima intensa e appassionata, l’unione dà segni di cedimento quando la donna si rivela incapace di dare alla luce un erede. Il marito parte allora per il Nord Africa, dove ha un’amante, e pur di riportare a casa l’uomo Madeleine si convince a fingere proprio il figlio illegittimo di un’altra donna. Ormai a brandelli e avvelenato dalla disonestà, il matrimonio si incrina. Il trattamento è insolitamente ‘adulto’ e inventivo. L’esempio migliore è una sequenza, girata con la cinepresa a mano, durante la quale Boycott si insinua nella camera da letto coniugale per infastidire e tormentare la moglie che si trova nel bagno. La struttura e la coerenza di questo film lo rendono magistrale, e vanno quasi certamente attribuite alla sceneggiatrice Alma Reville. Una scena in particolare è molto ‘hitchcockiana’: non possiamo menzionarla senza svelare la trama ma capirete subito di quale si tratta quando vedrete il film. Che il famoso ‘Hitchcock’s touch’ vada dunque riconosciuto a Mrs non meno che a Mr Hitchcock? Sarebbe forse un’esagerazione, ma comunque vadano spartiti i meriti tra il regista Mander e l’abile sceneggiatrice Reville, il film è un tour de force della tarda epoca del muto.