Teresa Venerdì

Vittorio De Sica

T. int.: Do You Like Women. Sog.: Gherardo Gherardi, Franco Riganti da un racconto di Rezsö Török. Scen.: Gherardo Gherardi, Vittorio De Sica, Margherita Maglione, Aldo De Benedetti. F.: Vincenzo Seratrice. M.: Mario Bonotti. Scgf.: Mario Rappini. Mus.: Renzo Rossellini. Su.: Bruno Brunacci. Int.: Adriana Benetti (Teresa Venerdì), Anna Magnani (Maddalena ‘Loletta’ Prima), Vittorio De Sica (dott. Pietro Vignali), Irasema Dilian (Lilli Passalacqua), Clara Auteri Pepe (Giuseppina), Zaira La Fratta (Alice), Olga Vittoria Gentili (Lola Passalacqua), Giuditta Rissone (l’istitutrice Anna). Prod.: Alleanza Cinematografica Italiana, Europa Film. Pri. pro.: 21 novembre 1941. 35mm. D.: 91′. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Non mi curo dell’accusa di ‘camerinismo’ che mi è stata fatta. Riconosco bensì che la vicinanza di Camerini, mio regista per tante pellicole, ha avuto la sua influenza: ma ciò è stato in gran parte possibile perché Camerini e io ci troviamo in una stessa posizione spirituale, abbiamo lo stesso umorismo e tendiamo, nel campo umano, alla ricerca della verità. Invece che di derivazione si potrà quindi parlare di identità. Ma la questione mi interessa fino a un certo punto. Quello che mi interessa soprattutto è di riuscire a realizzare presto un’opera schiettamente cinematografica, eliminanzo il più possibile gli elementi di derivazione teatrale.

Vittorio De Sica, intervista di D. M., Teresa Venerdì, “Il Tempo”, 30 ottobre 1941

Qui troviamo una grazia trepida, e perfettamente sincera, di giovinezza. Ancora uno sforzo e De Sica poteva raggiungere l’atmosfera di poesia misteriosa, aspra e dolente, che davvero è l’aureola delle giovanissime: aureola tanto pericolosa e segreta che nessuno, o quasi, si arrischia a mostrarcela, i poeti stessi si fermano, con mite scoraggiamento e domandano “Che cosa sognano le giovinette?”. Ma non ce lo dicono. Infine, il regista non si era qui proposto mete tanto eccezionali o rivelatrici, piuttosto, con perfetta eleganza, si è studiato di affinare, sveltire, accendere l’intera azione, introducendo motivi già noti, e frusti altrove, con tanta abilità da farli apparire nuovissimi (eccone uno, lo schiaffo alla ragazzina maligna).
Il soggetto è tolto da un romanzo ungherese, del signor Török. Storia amabile, di un’orfanella, Teresa e, dietro di lei, di un intero collegio per bimbe povere, con la sagace signora direttrice, la simpatica maestrina bionda, la frivola professoressa grassa, la liscia e crudele sorvegliante, l’infermiera bonaria e, tra innumerevoli scolarine buone, anche la scolara malvagia, la spia per istinto, la delatrice per vocazione, gelosa di Teresa, sporca s’intende (è stato giusto parlarci delle sue unghie listate di nero, non poteva essere altrimenti).
A sostituire il vecchio medico, l’ispettore sanitario, viene chiamato il giovane, inesperto e brillante dottor De Sica, privo assolutamente di cognizioni e di clienti, ma in compenso amato da due donne, Anna Magnani, stella del varietà, e Irasema Dilian, figliola di buona famiglia, e terribilmente poetica. Teresa, naturalmente, lo ama. […] Un’altra ragazza incantevole si aggiunge alle scoperte di De Sica, ed è Adriana Benedetti, che ricorda, nel muovere lento dei begli occhi, nel soave spavento dell’espressione, nella fluente snellezza del passo, qualche bella cerva dorata. […]

Irene Brin, Che cosa sognano le giovinette, “Cine Illustrato”, 24 ottobre 1941

Alla sceneggiatura partecipò, in forma anonima, Cesare Zavattini; ecco la sua testimonianza: “De Sica mi chiese di intervenire, ma di nascosto. C’era già una troupe di persone che lui stimava e che erano stimabilissime: Gherardi, De Benedetti. Ricordo anche la somma che presi per la mia collaborazione: 5000 lire”. Quindi lo stesso Aldo De Benedetti – escluso dalla firma per motivi ‘razziali’ – diede un contributo al film.

Francesco Savio, Ma l’amore no: realismo, formalismo, propaganda e telefoni bianchi nel cinema italiano di regime (1930-1943), Sonzogno, Milano 1975

Copia proveniente da