TAXI DRIVER

Martin Scorsese

Sog., Scen.: Paul Schrader; F.: Michael Chapman; Mo.: Marcia Lucas, Tom Rolf, Melvin Shapiro; Scgf.: Charles ‘Chuck’ Ro-sen; Op.: Fred Schuler; Ass. op.: Alec Hirschfeld, Bill Johnson, Ron Zarilla, Sandy Brooke; Mu.: Bernard Herrmann; Int.: Robert De Niro (Travis Bickle), Jodie Foster (Iris), Albert Brooks (Tom), Leonard Harris (Charles Palantine), Peter Boyle (Mago), Cybill Shepherd (Betsy), Harvey Keitel (‘Sport’ Matthew), Leonard Harris (Charles Palantine), Steven Prince (Andy, il trafficante d’armi); Prod.: Michael Phillips, Julia Phillips per Columbia Pictures; Pri. pro.: maggio 1976
35mm. D.: 114′. Col

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

L’apparizione del “yellow cab”, che gira al ralenti nelle nubi di vapore vomitate dagli scoli, ha la solennità di un cerimoniale. Il banale taxi di Robert De Niro sorge sulla scena di Manhattan come una cavalcata dell’apocalisse. Con la fascinazione mista al terrore di chi rivive un incubo familiare, Scorsese celebra qui la Città ritrovata. E come già ai tempi di Mean Streets, non teme di ricorrere all’iperbole, per invocarne i malefici. È eccessiva questa iconografia infernale? Senza dubbio, ma si sa che non bisogna attendersi dal veggente un approccio serenamente realista. Ha troppa fretta per fermarsi alla superficie dell’universo che mette in scena, deve in-nanzitutto esprimerne la dimensione favolosa. Non stupisce che Bernard Herrmann abbia offerto il suo contributo all’impresa: c’è nella cupa enfasi della sua strumentazione la stessa dismisura, lo stesso presentimento di una catastrofe imminente, la stessa certezza, infine, che un soffio mortale avvolga la scenografia urbana dove ci intima di penetrare. (…) L’inferno palpabile della Città e l’inferno delle anime calcinate. Travis li conosce bene entrambi e Taxi Driver ce lo mostra pro-vare a sua volta una vocazione al martirio (…). La sua camera ne è l’ultimo girone: al colmo della deriva, De Niro vi appare accartocciato come in fondo ad un pozzo, schiacciato da una plongée verticale che sembra figurare il punto di vista di Dio. La metafora s’impone, irresistibilmente, a misura che la regia scopre il paesaggio mentale dell’eroe. L’inferno, Travis lo co-steggia ogni giorno, sui marciapiedi dove formicola la fauna indistinta delle prostitute, dei prosseneti e dei drogati, nel suo taxi dove i passeggeri spargono lo sperma e il sangue di accoppiamenti infami, e fino nelle sfere della buona società. (…) Sarebbe vano cercare in Taxi Driver uno studio sociologico sul fenomeno dei vi-gilanti o anche l’analisi fenomenologica di un “caso”. Il punto di vista adottato è quello di un solipsista che ha perduto il contatto con la realtà. (…) Ne siamo avvertiti fin dai titoli di testa, dove gli oc-chi di De Niro, inquadrati nel rettangolo di un retrovisore, si sovrimprimono alle luci cangianti della metropoli. È a questo sguardo come dissociato dal suo corpo che rinvia l’iconografia puritana del film. Ossessionato dalla sporcizia originaria, dello spettacolo della città coglie solo l’immondizia.
(Michael Henry, Qui veut faire l’ange…, “Positif”, n. 183-184, luglio-agosto 1976)

Copia proveniente da

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