SWING TIME
Sog: dal racconto Portrait of John Garnett di Erwin Gelsey. Scen: Howard Lindsay, Allan Scott. F.: David Abel. M: Henry Berman. Scgf.: Van Nest Polglase. Cost: Hermes Pan. Mus.: Jerome Kern. Int: Fred Astaire (John ‘Lucky’ Garnett), Ginger Rogers (Penelope ‘Penny’ Carrol), Victor Moore (Everett ‘Pop’ Cardetti), Helen Broderick (Mabel Anderson), Eric Blore (Gordon), Betty Furness (Margaret Watson), Georges Metaxa (Ricardo ‘Ricky’ Romero), Landers Stevens (giudice Watson), John Harrington (Raymond), Pierre Watkin (Simpson). Prod.: Pandro S. Berman per RKO Radio Pictures. DCP.
Scheda Film
George Stevens dona al sesto film dell’accoppiata Astaire-Rogers un’eleganza unica, completata dall’uso di un complesso, spazioso set bianco e di trucchi fotografici, in particolare nella scena in cui Astaire – in un omaggio al ballerino Bill Robinson – balla insieme alle proprie altissime ombre. Astaire è un ballerino che lascia la città natale e la fidanzata per andare a New York dove si innamora della Rogers, un’insegnante di danza. Lui deve fingere di non saper ballare per poter partecipare alle lezioni e avvicinarsi a lei. Ci sono altri contrattempi (compreso il fidanzamento incombente di Astaire), equivoci e finzioni di cui sbarazzarsi. Ciascun numero di danza fa avvicinare e poi allontanare i due innamorati/ ballerini, in una deliziosa commistione di slancio e prudenza. Stevens lavorò alla sceneggiatura insieme a un gruppetto di autori per lo più non accreditati. Si tratta di un lavoro collettivo, in cui regista, attori, coreografo (Hermes Pan), scenografo (Van Nest Polglase) e autori delle canzoni (Jerome Kern e Dorothy Fields) contribuiscono tutti alla storia. I numeri di danza fanno avanzare la trama, finezza che i film precedenti di Astaire/Rogers potevano a stento permettersi. Dato il tradizionalismo di Kern, musicalmente non c’è poi tutto quello ‘swing’ (tranne che nel roteare swingante dei corpi), ma la maggior parte degli altri aspetti, compresi i balletti e le scenografie, è vertiginosamente moderna. Un impeccabile mondo Art déco sfugge alle cupe realtà della Depressione, come si vede nella rinnovata sala da ballo del Silver Sandal (progettata da John Harkrider), con la sua buca d’orchestra sotto la doppia scalinata, il pavimento su cui è dipinta in bianco una veduta aerea stilizzata di New York, i pannelli scorrevoli, le superfici scintillanti. La stupefacente giustapposizione di strutture curve e linee rette incarna la coesistenza di due mondi; il paradigma dell’opulenza è pronto ad affrontare la logica della fantasia. Non sarebbe fuori luogo definire l’ultimo film di Stevens, The Only Game in Town (L’unico gioco in città, 1970), su un pianista-giocatore d’azzardo che si innamora di una ballerina, un rifacimento non musicale di Swing Time.
Ehsan Khoshbakht
Leggi la recensione su Cinefilia Ritrovata