Sudden Fear
T. it.: So che mi ucciderai. Sog.: dal romanzo omonimo di Edna Sherry. Scen.: Lenore Coffee, Robert Smith. F.: Charles B. Lang Jr. M.: Leon Barsha. Scgf.: Boris Leven, Edward G. Boyle. Mus.: Elmer Bernstein. Su.: T.A. Carman, Howard Wilson. Int.: Joan Crawford (Myra Hudson), Jack Palance (Lester Blaine), Gloria Grahame (Irene Neves), Bruce Bennett (Steve Kearney), Virginia Huston (Ann Taylor), Touch Conners (Junior Kearney). Prod.: Joseph Kaufmann per Joseph Kaufmann Productions. Pri. pro.: 7 agosto 1952 DCP. D.: 111′. Bn.
Scheda Film
Sono questi gli anni in cui a Joan Crawford capita di emergere da vischiosi grovigli di melodramma e noir, ora sconfitta ora vittoriosa, ma comunque sola. Sola col suo rimorso, come recita il titolo italiano di Harriet Craig (Vincent Sherman, 1950); sola come può esserlo un’intraprendente single mother la cui figlia amatissima prima se la fa con l’uomo di mamma, poi lo ammazza, nel capolavoro Mildred Pierce (Michael Curtiz, 1945); sola e smarrita per le strade di Los Angeles, preda d’una follia che affonda le radici in un abbandono, in Anime in delirio di Curtis Berhardt (1947). A volte poi non emerge affatto, anzi sprofonda nelle acque dell’oceano, come nel finale sublime e wagneriano di Perdutamente. Ci sarà un motivo, in tutto questo? A rileggere vent’anni di cinema americano come macrotesto morale, potremmo pensare che questo è quel che ti succede quando sei stata un po’ troppo dancing daughter, o rubamariti dalle unghie laccate rosso giungla, com’era Joan in Donne di Cukor… Sudden Fear, in ogni caso, conferma senza scosse la norma divistica. Myra Hudson è tuttavia un personaggio interessante, nelle premese persino insolito: una drammaturga (e se ci sono diverse scrittrici nel cinema di questi anni, ben poche scrivono per il teatro), una donna ricca per eredità ma che vive del proprio talento, sicura di sé, imperiosa. Però ha quella solita debolezza femminile, con cui le eroine del woman’s film anni Quaranta avevano ingaggiato un’aspra dialettica, langue perché le manca un uomo; e nel lungo viaggio in treno da New York a San Francisco cede alle lusinghe di un mediocre attor giovane di cui aveva bocciato il provino. (Sono sequenze molto belle, e il restauro rende giustizia al loro côté nostalgico, ai perduti paesaggi urbani, a San Francisco nel sole del 1952). Il resto è materia nota, lui è Jack Palance e le preferisce Gloria Grahame, mette in atto un piano d’omicidio, lei scopre tutto e sfodera un’autodifesa in forma di trappola per topi, con sciabolate notturne di luci e ombre… però è davvero pietrificata dal dolore, e il film diventa soprattutto questo, uno studio del volto di Joan Crawford, occhi sbarrati e ogni muscolo teso allo spasimo, ciò che fece scrivere al poco gentile Bosley Crowther che la performance di Mrs. Crawford aveva raggiunto “uno stato di ossificazione”. Il regista David Miller tornerà a occuparsi di una matura damsel in distress nel più ricordato e ancora circolante dei suoi film, Merletto di mezzanotte, variazione hitchcockiana piacevolmente camp; lì però siamo nel 1960, le ombre del noir e i sensi di colpa del woman’s film sono alle spalle, la ‘ragazza in pericolo’ è Doris Day e non ci pensa nemmeno a sbrogliarsela (né a restare) da sola: a liberarla d’un uxoricida fascinoso ma piuttosto bacucco ci pensa anzi un architetto aitante e, questa volta serenamente, molto più giovane di lei.
Paola Cristalli