SORRY, WRONG NUMBER

Anatole Litvak

Sog.: dal radiodramma omonimo (1943) di Lucille Fletcher. Scen.: Lucille Fletcher. F.: Sol Polito. M.: Warren Low. Scgf.: Hans Dreier, Earl Hedrick. Cos.: Edith Head. Mus.: Franz Waxman. Int.: Barbara Stanwyck (Leona Cotterell Stevenson), Burt Lancaster (Henry Stevenson), Ann Richards (Sally Hunt Lord), Wendell Corey (dr. Alexander), Harold Vermilyea (Waldo Evans), Ed Begley (James Cotterell), Leif Erickson (Fred Lord), William Conrad (Morano). Prod.: Hal B. Wallis, Anatole Litvak per Hal Wallis Productions, Inc. 35mm. D.: 89’.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Questo film angoscioso e macabro di un Litvak al culmine della sua maestria narra di una donna, Leona (Barbara Stanwyck in un ruolo determinante), resa inferma da una malattia psicosomatica, che una sera scopre per caso che di lì a poco verrà uccisa. La sua sola arma è un telefono bianco accanto al letto. Per la sceneggiatura Lucille Fletcher adattò un suo radiodramma di grande successo (“Il più grande copione radiofonico di sempre”, secondo Orson Welles). La versione cinematografica è molto più complessa perché comprende dieci flashback, due dei quali contengono un ulteriore flashback, quindi dodici in tutto. I flashback forniscono informazioni sull’inquietante rapporto edipico di Leona con il padre (incorporato con raggelante efficacia nella messa in scena) e sulla sua possessività nei confronti del marito Henry (Burt Lancaster), irretito con promesse di ricchezza e ascesa sociale. I flashback, che non sono disposti in ordine cronologico, si snodano come pensieri sparsi di una donna inferma e nevrotica.
Litvak sovraccarica il film di splendidi dettagli (un poliziotto troppo indaffarato a occuparsi di una bambina nera per prendere sul serio la chiamata di Leona) e gli conferisce una qualità inspiegabilmente surreale. Prova un piacere perverso nel concederci un potere spaventoso: noi vediamo quello che l’inferma Leona non può vedere. Siamo un passo avanti rispetto a lei, e questo ci rende complici di un gioco sinistro. Quando un nervoso Burt Lancaster crede di essere spiato da un uomo al ristorante, quell’uomo canuto con gli occhiali neri e il farfallino è lo stesso Anatole Litvak che partecipa al gioco in un raro cameo. In linea con la costante attrazione di Litvak per le donne vulnerabili sull’orlo di una crisi di nervi (incarnate di volta in volta da Olivia de Havilland, Vivien Leigh, Deborah Kerr, Ingrid Bergman, Sophia Loren e Samantha Eggar), è un film terrificante, sia nella tematica che nel freddo e preciso trattamento del regista. Le sue tipiche carrellate, un tempo piene di gente che ballava e di comignoli fumanti di vivaci città, adesso avanzano lentamente tra corridoi bui e deserti e scale che ricordano le camere a gas. Durante la guerra Litvak ha visto l’inferno e adesso l’inferno è entrato in casa.

Ehsan Khoshbakht

Copia proveniente da

Per concessione di Park Circus