SCHATTEN

Arthur Robison

T. alt.: Schatten. Eine nächtliche Halluzination. Sog.: Albin Grau. Scen.: Rudolf Schneider, Arthur Robison. F.: Fritz Arno Wagner. Scgf.: Albin Grau. Int.: Fritz Kortner (l’uomo), Ruth Weyher (la donna), Gustav von Wangenheim (il giovane), Eugen Rex (gentiluomo), Max Gülstorff (secondo gentiluomo), Ferdinand von Alten (terzo gentiluomo), Fritz Rasp (servitore), Carl Platen (secondo servitore), Lilli Herder (cameriera), Alexander Granach (intrattenitore). Prod.: Pan-Film. 35mm. L.: 1942 m. D.: 85’ a 20 f/s. Col. (Desmet)

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Il gioco di luci e ombre è una delle caratteristiche distintive dei film tedeschi di fine anni Dieci e inizio anni Venti cui è stata assegnata l’etichetta collettiva (e piuttosto semplicistica) di ‘espressionisti’. Il Kammerspiel soprannaturale Schatten rappresenta probabilmente l’apoteosi del leitmotiv dell’ombra nel cinema muto tedesco, essendo qui le ombre non solo un fondamentale espediente stilistico ma un elemento intrinseco alla narrazione.
Sebbene il regista accreditato sia Arthur Robison, sarebbe sbagliato definire Schatten ‘un film di Arthur Robison’. Al contrario, è un ottimo esempio di regia come opera collettiva, ed è anche ‘un film di Albin Grau’ e ‘un film di Fritz Arno Wagner’, le cui scenografie e riprese, rispettivamente, sono parte integrante dell’aspetto e dell’atmosfera del film, perfino più di quanto lo fossero per Nosferatu di Murnau, uscito l’anno prima.
Come i “poemi cinematografici” (Siegfried Kracauer) realizzati all’incirca nello stesso periodo da Carl Mayer in collaborazione con Lupu Pick e Murnau – Scherben (1921), Sylvester (1923-24) e Der letzte Mann (L’ultima risata, 1924) – Schatten era completamente privo di didascalie quando uscì in Germania nell’ottobre 1923. Pertanto, il contributo del cast nel rivelare l’interiorità e la psicologia degli anonimi protagonisti è tanto importante quanto l’illuminazione e la messa in scena.
Pur essendo stato a lungo considerato parte del canone del cinema muto tedesco, Schatten è ancora per certi versi messo in ombra (senza voler fare giochi di parole) dall’opera di Murnau, Fritz Lang e G.W. Pabst, forse proprio per l’assenza di un autore chiaramente distinguibile. Ciò nonostante, Paul Rotha, nel suo influente studio The Film Till Now (pubblicato per la prima volta nel 1930), elogiò Schatten definendolo “un raro esempio di completa unità filmica” in cui “erano presentati in modo impeccabile la continuità tematica, il passaggio fluido da una sequenza all’altra, la graduale realizzazione dei pensieri dei personaggi”, aggiungendo che “ogni mezzo cinematografico allora noto con cui esprimere lo stato d’animo e creare l’atmosfera è stato usato con fantasia e intelligenza”. Guardando il film oggi è difficile non essere d’accordo.

Oliver Hanley

Copia proveniente da

per concessione di Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung