Roma

Federico Fellini

Sog., Scen.: Federico Fellini, Bernardino Zapponi; F.: Giuseppe Rotunno; Mo.: Ruggero Mastroianni; Ideaz. Scgf.: Federico Fellini; Scgf, Co..: Danilo Donati; Mu.: Nino Rota; Su: Renato Cadueri; Int.: Peter Gonzales (Fellini giovane), Fiona Florence (Dolores, prostituta), Marne Maitland (guida alle catacombe), Federico Fellini, Anna Magnani, John Francis Lane, Gore Vidal (se stessi), Britta Barnes, Pia De Doses (la principessa), Renato Giovannoli, Elisa Mainardi, Paule Rout, Paola Natale, Marcelle Ginette Bron, Mario Del Vago, Alfredo Adami, Stefano Mayore, Gudrun Mardou Khiess, Giovanni Serboli, Angela De Leo, Libero Frissi, Dante Cleri (un padre di famiglia), Mimmo Poli (un avventore), Galliano Sbarra (presentatore avanspettacolo), Alvaro Vitali (ballerino imitatore di Fred Astaire), Franco Magno (preside), Marcello Di Falco (il figlio della padrona di casa), Cesare Martignoni (il signor Falletta), Mario Conocchia (l’amico di Fellini), Guglielmo Guasta (Papa); Prod.: Turi Vasile per Ultra film (Roma)/ Les Productions Artistes Associés (Paris); Pri. pro.: 16 marzo 1972. D.: 130’. Col.

 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Alla proiezione sono abbinate alcune sequenze tagliate recentemente ritrovate presso la Cineteca Nazionale, dove appaiono, fra gli altri, Marcello Mastroianni e Alberto Sordi.

Che cos’è Roma? A che penso quando sento la parola Roma? Me lo sono spesso domandato. E più o meno lo so. Penso a un faccione rossastro che assomiglia a Sordi, Fabrizi, la Magnani. Un’espressione resa pesante e pensierosa da esigenze gastro-sessuali. Penso a un terreno bruno, melmoso; a un cielo ampio, fasciato, da fondale dell’opera, con colori viola, neri, argento; colori funerei. Ma tutto sommato è un volto confortante. Confortante perché Roma ti permette ogni tipo di speculazione in senso verticale. Roma è una città orizzontale, di acqua e di terra, sdraiata, ed è quindi la piattaforma ideale per dei voli fantastici. (…) Roma è una madre, ed è la madre ideale, perché indifferente. È una madre che ha troppi figli, e quindi non può dedicarsi a te, non ti chiede nulla, non si aspetta niente. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai, come il tribunale di Kafka. In questo c’è una saggezza antichissima; africana quasi; preistorica. Sappiamo che Roma è una città carica di storia, ma la sua suggestione sta proprio in un che di preistorico, di primordiale, che appare netto in certe sue prospettive sconfinate e desolate, in certi ruderi che sembrano reperti fossili, ossei come scheletri di mammut… (…) Col suo pancione placentario e il suo aspetto materno evita la nevrosi ma impedisce anche una vera maturazione. Qui non ci sono nevrotici ma nemmeno adulti. È una città di bambini svogliati, scettici e  maleducati; anche un po’ deformi, giacché impedire la crescita è innaturale. Anche per questo a Roma c’è un tale attaccamento alla famiglia. Io non ho mai visto una città al mondo dove si parli tanto dei parenti. (…)
Avevo pensato a una Roma scrutata come da uno straniero, una città vicinissima e lontana come un pianeta. Da questa prima idea, quasi senza che me ne accorgessi, s’è sviluppato col tempo il progetto del film attuale. E adesso che il film è finito, non so proprio se risponda o no all’ispirazione iniziale. No, non so proprio dirlo. (…) Sono rimaste fuori parecchie cose della sceneggiatura. Volevamo fare una sequenza sulla circolare notturna, una sulla partita Roma-Lazio, con il tifoso che ha perso la scommessa e deve immergersi nella fontana di piazza degli Eroi… Una sequenza sulle donne di Roma; una sul Ponentino e sulle nuvole… Sono rimaste fuori. Soprattutto è rimasta fuori la sequenza sul cimitero del Verano.(…) Anche nel camposanto, Roma mantiene il suo aspetto di grande appartamento nel quale puoi passeggiare in pigiama, ciabattando. Ma questa sequenza non l’ho più girata. Comunque, nel film c’è ugualmente l’aspetto di quell’immenso cimitero, brulicante di vita che è Roma.

Federico Fellini, Roma & Fellini, in Federico Fellini, Roma, a cura di Bernardino Zapponi, Cappelli, Bologna 1972

 

Nel suo terzo ‘falso’ documentario, dopo Block-notes di un regista (1969) e I clowns (1970), Fellini si libera da ogni vincolo di linearità narrativa e privilegia il fascino misterioso e allusivo dell’evocazione frammentaria. Roma infatti inizia con dieci brevi sequenze, ambientate in una cittadina romagnola negli anni ‘20 e ‘30, dove il nome e l’immagine della Città Eterna rimandano ad un’entità lontana e mitologica, richiamata in quel piccolo mondo dai cippi stradali, dalla radio, dai suoni e dalle immagini tramandate dalla scuola e soprattutto dal teatro e dal cinema. Poi i frammenti assumono una durata più distesa, mostrando l’arrivo a Roma di un giovane (un autoritratto felliniano) che nel 1939 scopre i labirinti affollati delle case romane e le cene pantagrueliche all’aperto. Poi improvvisamente irrompe il presente e la troupe di Fellini, intento a realizzare il film che stiamo vedendo. La Roma degli anni ‘70 si condensa nella sequenza infernale del traffico automobilistico sul raccordo anulare, dove si perde la nozione del tempo e dello spazio, nel viaggio fantastico in una metropolitana che nasconde il mistero di antiche case romane, nella spettrale e grottesca cerimonia di un defilé di moda ecclesiastica e nell’euforia caotica della Festa de Noantri. Ma il presente è intercettato per due volte dal passato e due brani riaffiorano come visioni della memoria: lo spettacolo comico e crudele dell’avanspettacolo al Teatrino della Barafonda e il mondo sotterraneo dei casini, con le sfilate delle prostitute che si offrono alla fame dei clienti. Dopo una fugace apparizione di Anna Magnani, il caleidoscopio si chiude con un’apocalittica visione di Roma notturna, invasa da un nugolo di motociclisti senza volto, che sembrano annunciare oscure minacce a venire. L’attesa ingenua di chi, dalla provincia, sogna il mito di Roma, si contrappone così alla realtà sanguigna, sensuale e cinica della capitale e soprattutto al clima di apparente liberalizzazione degli anni ‘70, attraversato da segni funesti. Mantenendo più defilata la propria presenza rispetto ai due film del ‘69 e del ‘70, Fellini insinua echi sottilmente autoreferenziali (tra il pubblico della Barafonda s’intravede un’evocazione di Luigi A. Garrone, alias ‘Gattone’, che avrebbe dovuto figurare in Moraldo in città; l’atmosfera della casa romana adombra le vignette di Attalo per il “Marc’Aurelio”, di cui Fellini fu collaboratore in gioventù; il papa è impersonato da Guglielmo Guasta, umorista e collega-amico di quegli anni). Le sequenze del raccordo anulare, della metropolitana e della cena in via Albalonga furono in realtà girate a Cinecittà. La sfilata ecclesiastica, sarcastica, prodigiosa raffigurazione della decrepitudine della Chiesa e della nobiltà papalina, fu ammirata da Buñuel, che avrebbe voluto impersonare un vescovo. La lavorazione fu interrotta a metà dal fallimento di Giuseppe Pasquale, socio di maggioranza della Ultra Film e riprese grazie all’intervento della Banca del Lavoro e della rinuncia di Fellini ad alcune sequenze.

Roberto Chiesi

 

Copia proveniente da

Restaurato nel 2010 da L’Immagine Ritrovata.
Restauro della versione integrale presentato da Enrico Magrelli (CSC-Cineteca Nazionale), Alberto Barbera (Museo Nazionale del Cinema di Torino) e Gian Luca Farinelli (Cineteca di Bologna).