Roma città aperta
T. int.: Rome Open City. Sog.: Sergio Amidei, Alberto Consiglio, Ivo Perilli. Scen.: Sergio Amidei, Roberto Rossellini. Su.: Raffaele Del Monte. Int.: Anna Magnani (Pina), Aldo Fabrizi (don Pietro Pellegrini), Vito Annichiarico (Marcello), Nando Bruno (Agostino, il sagrestano), Harry Feist (maggiore Fritz Bergmann), Francesco Grandjacquet (Francesco), Maria Michi (Marina Mari), Marcello Pagliero (ing. Manfredi), Eduardo Passarelli (brigadiere metropolitano), Carlo Sindici (questore), Giovanna Galletti (Ingrid). Prod.: Excelsa Film. Pri. pro.: 24 settembre 1945. DCP. D.: 100′. Bn.
Scheda Film
Rossellini traversa il periodo neorealista (che non è solo cinematografico) facendone la storia, cioè tracciandone le linee di forza, definendo le idee generali che lo reggono e lo muovono; e nel fare ciò parte dalle apparenze stesse di questa storia, che sono innanzitutto il cinema come il medium espressivo più avanzato dell’epoca […], il medium che già di per sé pone in crisi la nozione di arte. Rossellini utilizza poi il cinema come ‘specializzazione’ realistica, e questa non è tanto una scelta a priori quanto la conseguenza dell’uso di una tecnologia determinata contro le regole fino a quel momento codificate, che si possono riassumere nella ideologia dello spettacolo e che si specificano nello star system, nella finzione romanzesca, nel rapporto ‘teatrale’ col pubblico. Il cinema esce per le strade, diventa ‘realistico’, quando elimina una serie di diaframmi rispetto a una sua specificità tecnica […]. In Roma città aperta il titolo stesso rivela un’apertura inconsueta: la gente, non i borghesi (che vivono nascosti nei loro uffici) ma la gente del popolo, vive all’aperto, nella città. Se il film è la storia di un caseggiato, lo è in quanto quest’ultimo è un microcosmo che sintetizza (come un palcoscenico en plein air) la città intera: le nostre case già sono per Rossellini, nel ’45, le nostre strade, e non più degli interni; la vita privata, le storie d’amore, coinvolgendo gli altri, si svolgono alla luce del sole; e la clandestinità della lotta partigiana è una nuova prassi, che passa attraverso i tetti e non si cela nel basso delle cantine, e che collega in una rete articolatissima ciò che il nemico fa fatica a percepire, con le sue più vecchie coordinate culturali (ma già il nazista meglio del fascista: si veda la scena del maggiore Bergmann che ‘legge’ la città nel suo ufficio attraverso le fotografie quotidiane: il suo è però un sapere improduttivo). Rossellini, già oltre la guerra, vive nello spazio della modernità. Il centro, l’accentramento e l’accerchiamento sono combattuti e battuti: alla fine del film i bambini hanno ereditato l’esperienza di un decentramento, e la cupola di San Pietro non funziona più da meta ma da sfondo per un cammino ‘aperto’, poiché bisogna tener presente la nostra eredità culturale, che per Rossellini è soprattutto quella cattolica.
Adriano Aprà. Rossellini oltre il neorealismo, in Il neorealismo cinematografico italiano, a cura di Lino Miccichè, Marsilio, Venezia 1975
Restaurato nel 2013 da Fondazione Cineteca di Bologna, CSC - Cineteca Nazionale, Coproduction Office e Istituto Luce Cinecittà presso il laboratorio L'Immagine Ritrovata.
Il restauro digitale è stato realizzato a partire dai negativi originali conservati presso la Cineteca Nazionale. L'immagine è stata scansionata a una risoluzione di 4K