Point Blank

John Boorman

T. it.: Senza un attimo di tregua. Sog.: Donald E. Westlake. Scen.: Alexander Jacobs, David Newhouse, Rafe Newhouse. F.: Philip H. Lathrop. Scgf.: Keogh Gleason. Mu.: Johnny Mandel. Int.: Lee Marvin (Walker), Angie Dickinson (Chris), Keenan Wynn (Yost), Carroll O’Connor (Brewster), Lloyd Bochner (Frederick Carter), Michael Strong (Stegman). Prod.: Judd Bernard, Robert Chartoff. Pri. pro.: 30 agosto 1967 35mm. D.: 92’.

 

 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Nell’improvvisa rinascita del cinema noir statunitense, a metà degli anni Sessanta, Point Blank, film di gangster, si distingue facilmente dalla saga dei detective privati, come P.J. Harper, Tony Rome e Peter Gunn. È, se si vuole, l’esito estremo, e a tutt’og­gi insuperato, di una tendenza avviata da Contratto per uccidere di Don Siegel, dove trovavamo già riuniti Lee Marvin e Angie Di­ckinson […]. Era l’apparizione dell’assassi­no glaciale, una vera macchina di morte, di cui Johnny Cool era un’altra incarnazione. Con il mondo del detective privato mostra­to in quello stesso periodo da Jack Smight o Gordon Douglas, Blake Edwards o John Guillermin, si ritornava alla psicologia, alla satira di costume, al quadretto pittoresco, un registro romanzesco dove il groviglio dei rapporti umani si rifletteva nella comples­sità dell’intrigo. Point Blank, al contrario, si sottrae alla caratterizzazione e alla psi­cologia, riduce le motivazioni all’essenziale, ignora le storie tortuose e sfocia con natu­ralezza nella fiaba. L’adozione del flashback da parte di Boorman, lungi dall’essere gra­tuita a causa dell’influenza europea, come gli hanno rimproverato alcuni, non fa che riallacciarsi alle tendenze generali del rac­conto. I ritorni al passato sono molto diversi da quelli che si incontrano nei polizieschi classici. Il loro valore esplicativo è sottile: le informazioni che ci svelano avrebbero potuto essere fornite con due o tre frasi di dialogo. Nessuna psicologia ma una forza poetica e fisica. Point Blank all’apparenza sembra una sto­ria di vendetta. E lo è fino in fondo. Ma non è sbagliato vedervi anche un apologo più complesso, un quadro simbolico dell’Ame­rica. […] La struttura circolare del racconto riesce a conferire all’insieme un’impressione d’ir­realtà, o di una realtà filtrata dal sogno, di una luce attenuata dal ricordo, come sug­geriscono alcune inquadrature velate di Lee Marvin. Il film si conclude sulle mura in pietra della prigione abbandonata e sull’ac­qua del fiume, sulle luci lampeggianti nella notte, come se si concretizzassero le parole della guida sul battello quando dichiarava ai turisti che le perfide correnti intorno all’iso­la rendono impossibile l’evasione. Catturato nel gorgo di una tempesta che egli stesso ha provocato, Walker non sfugge al proprio incubo. L’impressione onirica è accentuata dallo sdoppiamento della moglie di Walker che, morta, sembra reincarnarsi nella so­rella (e la scelta di Sharon Acker e Angie Dickinson, fisicamente somiglianti, fu deli­beratamente voluta da Boorman).
(Michel Ciment, John Boorman, un vision­naire en son temps, Calmann-Lévy, Paris 1985)

 

Copia proveniente da

Per concessione di Hollywood Classics