PASOLINI E L’UMILIAZIONE SEGRETA DI CHAUCER

Realizzazione: Roberto Chiesi, Loris Lepri e Luigi Virgolin; progetto, ricerche e testo: Roberto Chiesi; fotografie di Mimmo Cattarinich; interventi audio e video: Beatrice Banfi, Laura Betti, Mimmo Cattarinich, Enzo Ocone. D.: 30’.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

“Quando ho girato Canterbury era un periodo molto particolare, ero molto, molto, molto infelice, non ero adatto per una trilogia nata all’insegna della spensieratezza, dello stile “medio”, del sogno, e anche del comico, per quanto astratto”.

La crisi intima sofferta da Pier Paolo Pasolini durante e dopo le riprese de I racconti di Canterbury (protrattesi dal settembre al novembre 1971), è probabilmente una delle cause della tormentata postproduzione del film. Infatti il secondo capitolo della Trilogia della vita, ispirato all’omonimo capolavoro di Geoffrey Chaucer, fu presentato il 2 luglio del 1972 al XXII festival di Berlino, in una versione della durata di due ore e venti minuti, quindi più lunga di quasi mezz’ora rispetto a quella definitiva (110’). Secondo una testimonianza del responsabile dell’edizione, Enzo Ocone, il film venne tagliato da Pasolini e dallo stesso Ocone di circa venti minuti dopo l’anteprima per la stampa, per essere proiettato l’indomani alla giuria del festival (che gli attribuì l’Orso d’oro). Venti giorni più tardi, Pasolini, insoddisfatto anche di quella versione, ritornò nuovamente in moviola a lavorare al montaggio del film, come attesta una sua lettera del 25 luglio 1972 a Guido Aristarco: “Solo pochi giorni fa ho finito il lavoro massacrante di sistemazione del Canterbury Tales (malgrado Berlino, dove ho mandato una prima stesura) e non ho potuto occuparmi di altro”. A differenza delle scelte effettuate per Il Decameron e di quelle che avrebbe operato per il successivo Il Fiore delle Mille e una notte, Pasolini decise di modificare l’intera struttura del film, eli- minando quasi completamente la cornice che reggeva l’architettura degli otto racconti: il viaggio dei pellegrini a Canterbury e il loro avvicendarsi come narratori durante il percorso. Tra situazione comiche o aspre, l’oste interpellava il mugnaio, il fattore, il cuoco, Chaucer stesso, la donna di Bath, il mercante, il frate, il cacciatore di streghe e il venditore di indulgenze, perché raccontassero a turno una storia durante le soste sulla strada per l’abbazia di Canterbury. Ogni racconto, così, era introdotto dalla voce e dal volto di un personaggio diverso.

Questa cornice era racchiusa all’interno di un’altra, calata in un tempo posteriore, dominata dalla presenza di Chaucer, chiuso nella solitudine del suo studio e assorto a ricordare le storie udite e a scriverle. Pasolini conservò esclusivamente quest’ultima cornice narrativa, ma riducendola e inserendola nel film solo al termine di quattro racconti.

“Ho girato delle scene per mostrare come i pellegrini incominciavano a raccontare le loro storie… Ma ho eliminato questi intermezzi perché non si adattavano al film. In Chaucer costituiscono effettivamente un libro dentro il libro, mentre nel film diventavano una soluzione automatica, meccanica. È una delle principali correzioni che ho fatto al film. Per me, in quanto autore, il principale problema posto dal film era quello della sua struttura”. Attualmente, i trenta minuti complessivi di tagli non sono reperibili: questo dossier è un’ipotesi di ricostruzione, basato sui testi della sceneggiatura e del copione originale con le annotazioni di Beatrice Banfi, segretaria di edizione, sulle fotografie di scena (in parte inedite) di Mimmo Cattarinich e sulle testimonianze video e audio della stessa Banfi, di Laura Betti, Mimmo Cattarinich e Enzo Ocone.

Nella sequenza del viaggio, un rilievo particolare lo avrebbe assunto proprio l’apparizione dello stesso Chaucer, pellegrino fra i pellegrini, e il suo racconto incompiuto.
Nelle pagine dei Canterbury Tales, lo scrittore inglese aveva raffigurato se stesso con divertita autoironia: così timido e goffo da attirare lo scherno dell’oste e così noioso e maldestro come narratore da subire una brusca interruzione e l’ingiunzione di raccontare un’altra storia. In realtà, la sua narrazione in versi (sulle avventure del nobile fiammingo Sir Thopas) era talmente ridondante da diventare una parodia delle ballate cavalleresche. Non senza protestare, Chaucer narra allora la lunga storia di Melibeo e madonna Prudenza, che riuscirà a condurre a termine.

Nella sequenza scritta e girata da Pasolini, l’oste si rivolgeva a Chaucer con un tono di derisione più salace rispetto al racconto originario (se nella novella lo scrittore è definito un “pupo”, nel film sarebbe stato paragonato ad una “bambina”). Pasolini, inoltre, accentuò il disagio dello scrittore, le cui incertezze sono acuite dal disinteresse dei pellegrini, distratti dalle loro libidini, dai rancori e dalla noia che ispira loro quella narrazione. All’improvviso, Chaucer/Pasolini veniva zittito definitivamente. Non gli si offriva la possibilità di “riscattarsi” con una nuova storia e doveva accontentarsi di mugugnare a bassa voce, mentre la donna di Bath (impersonata nel film da Laura Betti) avvinceva l’uditorio con la sua novella e il suo linguaggio vivacemente sboccato.

Pasolini, quindi, avrebbe sprofondato il “doppio” di se stesso in uno stato di mortificazione subìto proprio a causa di coloro che diventeranno i suoi personaggi sulla carta. La decisione di sopprimere quella scena umiliante (e il racconto parodistico di ser Thopas, che Pasolini investì di maggior sarcasmo rispetto ai Canterbury Tales), modificò la fisionomia di Chaucer come personaggio di se stesso. Il suo ruolo, nel tessuto della rievocazione del viaggio, fu così circoscritto all’inizio della “cornice” rimasta, allo spazio di una breve gag comica (sbatte il naso contro quello del cuoco) e a poche altre fugaci apparizioni. A differenza del “discepolo” di Giotto del Decameron, Chaucer è isolato da Pasolini ai margini della realtà evocata nei racconti, o appare addirittura del tutto estraneo e appartato, nel silenzio del proprio laboratorio di scrittore. Nella prima versione del film, invece, la solitudine di Chaucer avrebbe avuto una chiave rivelatrice: un artista impotente a conquistare un uditorio popolare e a calare la sua arte nella materia della vita.

Roberto Chiesi