Nothing Sacred
Scen.: Ben Hecht. F.: W. Howard Greene. M.: James E. Newcom. Scgf.: Lyle Wheeler. Mus.: Oscar Levant. Int.: Carole Lombard (Hazel Flagg), Fredric March (Wally Cook), Walter Connolly (Oliver Stone), Charles Winninger (Dr. Downer), Sig Ruman (Dr. Eggelhoffer), Frank Fay (maestro di cerimonie), Margaret Hamilton (donna nel drugstore), Olin Howland (facchino alla stazione), Billy Barty (bambino che morde). Prod.: David O. Selznick per Selznick International Pictures. 35mm.
Scheda Film
“Satira screwball” (Pauline Kael) e commedia acida sul giornalismo, Nothing Sacred è uno dei titoli più celebri di Wellman e dei più estranei al suo canone. La commedia non è il suo territorio, e nel tessuto cangiante delle declinazioni di genere (sofisticata, svitata, romantica) il film s’impone come uno strappo. Resta una commedia listata a lutto, anche se fin dall’inizio sappiamo che la malattia di Hazel Flagg è prima una diagnosi sbagliata, poi una sarabanda mediatica; ma un cupo nervosismo vibra nell’aria, quel verbo to die che rotola senza pietà di bocca in bocca, medici che arrivano come corvi e giornalisti come avvoltoi, e tutti i fiori sparsi per le inquadrature, a saturarle di colori pastello che nel Technicolor del 1937 assumono una sfumatura marcescente. Non c’è nulla di sacro a consolarci, nemmeno l’amore: “Mi ami?” chiede Hazel. “Non è amore. È interesse anormale per i criminali”, risponde Wally. La battuta in realtà nel film non c’è, appartiene a una prima stesura della sceneggiatura di Ben Hecht (cfr. Giaime Alonge, Scrivere per Hollywood, dove veniamo a sapere che a “ripulire i dialoghi” fu chiamata Dorothy Parker), ma coglie bene il mood antisentimentale e provocatorio che è cifra del film. Cronisti truffatori, direttori di giornale che sono la versione comica e ulcerosa d’un gangster, prime pagine usate per incartare il pesce, tutto in una New York pronta ad applaudire l’entertainment offerto da una fotogenica moribonda (siamo in una farsa guydebordiana?) – che a sua volta è un’imbrogliona da strapazzo. Con molta acutezza James Harvey rileva che questa città non è tanto oggetto di satira morale, quanto di una visione “alla Holden Caulfield”: come per il personaggio di Salinger, New York è soprattutto un posto pieno di phonies. Però New York è anche un sogno, il sogno di Hazel Flagg, il sogno che solo la morte può comprare; Wellman, anche qui maestro di riprese aeree, ne scopre in emozionanti prospettive la trama di pietra e vetro dei grattacieli, l’Hudson e il Chrysler Building, la Statua della Libertà subito fuori dal finestrino… La pura e cruda satira di Nothing sacred è concentrata nei primi quindici minuti, tra i vertici assoluti del cinema di Wellman e del cinema americano anni Trenta, e il suo bersaglio è la provincia. Sfuggendo a un destino di necrologi, l’ex-primo cronista Wally prende il treno per il Vermont e si ritrova in un sinistro aldilà, una fantasia di regressione, un mondo di passanti arcigne e deformi, diffidenza ottusa, yep e nope, covate malefiche di ragazzini che azzannano i polpacci degli intrusi. C’è molta provincia asfittica e grottesca nella commedia americana anni Trenta (in L’adorabile nemica di Boleslawski, o persino in Frank Capra): ma qui siamo per un attimo alle soglie dell’horror, questo è l’American Gothic di Grant Wood che ha preso improvviso movimento. Il film è una delle prime produzioni indipendenti di David O. Selznick, il suo Vermont è un po’ anche la versione colorata e allucinata del Kansas nel Mago di Oz: e vi troneggia infatti Margaret Hamilton, futura strega dell’Ovest.
Paola Cristalli